Le migliaia di marines che hanno lanciato giovedi una possente offensiva nella valle di Helmand, nell’Afghanistan meridionale, non dovranno vedersela solo con i talebani, che in quella regione sono di casa, ma anche con le popolazioni locali che non vedono di buon occhio l’arrivo di soldati stranieri con il loro micidiale armamentario, a quanto scrive il New York Times. ”Conquistare le menti e i cuori”- come gli americani tentarono di fare in Vietnam – degli abitanti di quelle remote aree non si prospetta quindi affatto facile.
Gli abitanti di alcuni villaggi hanno addirittura imbracciato le armi per respingere gli ”invasori” e scongiurare la morte di loro figli e parenti nei bombardamenti che mirano ai talebani ma che spesso rendono orribile il ”collateral damage” inflitto a civili innocenti. ”Il controllo che i talebani esercitano da anni nelle province di Kandahar e Helmand è talmente radicato che scacciarli richiederà feroci combattimenti e susciterà il risentimento delle popolazioni locali improvvisamente travolte dalla guerra”, rileva il Times.
Del resto, scrive il Times, quelle popolazioni, in assenza di rappresentanti del governo centrale di Kabul, si sono ormai rassegnate a vivere con i talebani, e preferiscono essere lasciate in pace così come stanno piuttosto che essere esposte ai bombardamenti ed alle incursioni aeree di truppe straniere. Per fare un esempio, il governo di Kabul è totalmente assente in 5 dei 13 distretti di Helmand, e in molti altri, come Nawa, controllano solo il capoluogo, dove militari e funzionari vivono in stato di assedio permanente.
”A noi musulmani le truppe americane non piacciono, perchè rappresentano una fonte di pericolo”, ha dichiarato al Times il contadino Hajji Taj Muhammad, la cui casa a Marja, dove fiorisce la coltivazione dell’oppio organizzata dai talebani per autofinanziarsi, è stata bombardata due mesi fa.
”Ora la gente preferisce stare con i talebani piuttosto che con il governo, che non si è mai preoccupato di queste regioni, e le truppe americane sono considerate ostili”, dice Abdul Qadir Noorzai, capo della Commissione Indipendente Afghana per i Diritti Umani nell’Aghanistan meridionale.
Un problema di ”menti e cuori” gli americani, e gli israeliani, ce l’hanno anche in Iran, secondo un’analisi pubblicata da The Huffington Post. Non è’ un segreto che entrambi siano stati tentati di mettere fuori gioco una volta per tutte il programma nucleare iraniano.
Sicuramente esistono piani di contigenza da mettere in atto con brevissimo preavviso, ma ora questi piani sono stati superati dagli eventi. Bombardare i siti nucleari iraniani è diventato praticamente impossibile perchè il danno collaterale sarebbe inaccettabile per il mondo intero.
E questo perchè a vincere le contestate elezioni del 12 giugno è stato il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, e ad essere sconfitto è stato il candidato moderato Mir Hossein Moussavi. La incerta vittoria di Ahmadinejad ha scatenato la rabbia popolare, con migliaia di studenti e semplici cittadini scesi in piazza a Teheran e altrove solo per essere massacrati dalle forze di sicurezza governative, con un bilancio di morti ancora non accertato.
Il ”problema” di fronte a Israele – finora il più incline ad un attacco preventivo contro l’Iran – lo spiega bene Meir Dagan, ex-capo del Mossad. ”Le proteste contro Ahmadinejad e la loro sanguinosa repressione sono state a lungo sotto gli occhi del mondo, e internet ha mostrato giovani uomini e donne sacrificare le loro vite in nome della giustizia”. Continua Dagan: ”Vi immaginate il disgusto e l’orrore che susciterebbero bombardamenti in cui perderebbero sicuramente la vita molti dei dimostranti scesi in piazza contro Ahmadinejad”?