Mettersi a fare il blogger non conviene ai magistrati. Ce lo insegna la vicenda di Gaetano Dragotto, procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona, dai colleghi chiamato affettuosamente «magistrato blogger». Se non fosse che da domani non sarà più magistrato, ma solo blogger.
Lui stesso infatti ha deciso di dimettersi dall’incarico ad Ancona, dopo che il Csm, il supremo organo di autogoverno della magistratura, non lo aveva riconfermato fra i membri del plenum.
Sul suo blog Gaetano Dragotto non risparmiava niente ai suoi colleghi. Come quella sulla «prostata salvifica». L’aveva fatta franca un maniaco che aveva mostrato la sua virilità a una bimba ferma in auto con il finestrino aperto, giacché il giudice aveva attribuito l’esibizione alla impossibilità di «trattenersi dall’urinare». Senza domandarsi perché non si fosse allora rivolto verso il muro. Oppure le attenuanti generiche, concesse a un senegalese «perché l’imputato è africano e l’Africa è povera».
Decisione assunta dopo una votazione che lo ha bocciato con 12 voti a sfavore, 5 a favore ed altrettante astensioni. I motivi della bocciatura non sono ancora noti, ma lui non ha dubbi: «Da fonti private mi risulta che la causa principale sia stata proprio il blog», dice lo stesso Dragotto.
La sua vicenda si trascinava da più di un anno: la storia di un magistrato che non ha avuto paura di mettere in discussione il lavoro dei suoi colleghi spulciando fra le sentenze più assurde, mettendole spesso alla berlina. Lui si difende dicendo di aver «creato quel blog per gli amici e per ridere dei pasticci scritti nelle sentenze».
