Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Vittorio Grevi sui temi della giustizia intitolato ”Quel monito del Presidente”. Lo riportiamo di seguito:
”Ancora una volta i temi della giustizia irrompono sulle prime pagine dei giornali. Ma, questa volta, non nella prospettiva, ancora ieri sottolineata con vigore dal presidente Napolitano, di una doverosa riforma concernente il rispetto di «essenziali norme di condotta» nell’esercizio della giurisdizione (una riforma condivisa, ha chiesto giustamente il Presidente, anche perché c’è un rischio di arbitrio che va contrastato), bensì con specifico riferimento ad alcune clamorose inchieste in corso. A cominciare da quella della procura napoletana per l’«affare Global Service».
Ampiamente preannunciata da numerosi segnali, la bufera giudiziaria scatenatasi negli ultimi giorni sul comune di Napoli, con il coinvolgimento di diversi assessori ed ex assessori, nonché di un imprenditore finito in carcere, proietta un’ennesima ombra inquietante su certe modalità di gestione del potere negli enti locali, in questo caso da parte di amministratori di centrosinistra. E poiché l’inchiesta di Napoli segue di poche ore la notizia di analoghe indagini avviate a Pescara e a Potenza, e sempre per fatti corruttivi legati ad intrecci di malaffare politico- amministrativo, nel quale risultano indagati diversi esponenti del Partito democratico (sebbene a Napoli, per la verità , fra i parlamentari coinvolti figuri altresì un esponente del Pdl), l’impressione è che anche il principale partito di opposizione non possa ormai più vantare la tradizionale rendita di immagine, rispetto alle ombre di una «questione morale» tuttora irrisolta.
Naturalmente per ora si tratta soltanto di ipotesi di reato formulate dagli organi del pubblico ministero (peraltro già avallate in vario modo dai provvedimenti di un giudice), sicché è buona cosa attendere l’esito delle inchieste prima di formulare un giudizio definitivo. Questa, tuttavia, è una precisazione da farsi, e doverosamente, sul piano tecnico processuale, come riflesso della presunzione di non colpevolezza che assiste qualunque indagato. Sul piano politico, però, il discorso è differente, essendo palese che un partito non può attendere mesi od anni, prima di dare segnali di pulizia e trasparenza al suo interno. E questi segnali devono essere dati sulla base di valutazioni politiche (ponderate, ma tempestive), attraverso provvedimenti che rimuovano anche il minimo sospetto: senza condanne anticipate, ma anche senza atteggiamenti di indulgente lassismo, soprattutto quando determinati fatti o determinate condotte risultino comunque da circostanze obiettive, benché non (ancora) sanzionati da una sentenza.
È fin troppo facile ripeterlo, di fronte a notizie come quelle provenienti dalle inchieste di Napoli, di Potenza, di Pescara ed anche di altre sedi.
Tuttavia bisogna essere consapevoli che oggi, non saremmo qui a parlare ancora una volta di «questione morale», ed a lamentare il riesplodere di episodi di pubblica corrutela dai contorni già ben noti, se dopo la stagione degli scandali di Tangentopoli, all’inizio degli anni ’90, il nostro ceto politico avesse trovato in sé la forza di rigenerarsi a fondo nelle proprie radici etiche. Sia nel senso di recuperare da parte di tutti un più profondo senso dello Stato, sia nel senso di predisporre rigorosi congegni diretti comunque a prevenire (anche attraverso adeguate selezioni dei soggetti da candidarsi), certi disdicevoli comportamenti, all’insegna dello scambio tra tangenti ed affari. Così purtroppo non è avvenuto, per cui ancora una volta spetta all’autorità giudiziaria — nell’esercizio della sua funzione istituzionale di controllo della legalità — il compito di accertare fatti e responsabilità di vicende riconducibili, per lo più, allo schema penalistico della corruzione.
Adesso occorre che alla magistratura venga data piena fiducia ai fini dello sviluppo delle indagini in corso (ovviamente nel rispetto di tutte le garanzie difensive previste per gli indagati), così da poterne verificare ogni possibile implicazione, senza privilegi per nessuno. Nemmeno per i parlamentari che sono stati indirettamente coinvolti in intercettazioni telefoniche operate non a loro carico, i quali per primi avranno interesse a dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Quanto allo strumento delle intercettazioni, la circostanza che esse siano all’origine di molte delle inchieste per corruzione rese note in questi giorni, costituisce una ulteriore dimostrazione della concreta utilità di questo mezzo investigativo, anche nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione. E, nel contempo, costituisce altresì un serio monito per quanti, in sede di politica legislativa, vorrebbero invece escludere la loro ammissibilità proprio nell’ambito di tali procedimenti. Ma questo pericolo sarà evitato se in tema di riforme della giustizia si cercheranno, secondo l’auspicio rinnovato ieri dal presidente Napolitano, soluzioni «condivise»”.
