L’articolo del giorno riguarda un caso che interessa un po’ tutti anche in Italia, anche se il caso cui si riferisce è accaduto laggiù nell’Arizona, Usa. L’articolo, del New York Times, si riferisce a una sentenza della Corte Suprema americana, una sentenza che farà discutere a lungo sul tema della lotta alla droga nelle scuole e del diritto degli insegnanti di controllare, anche con perquisizioni corporali, se i ragazzi ne abbiano con sé.
Il caso è quello di una scuola media dell’Arizona dove una studentessa di 13 anni accusata da un’amica di aver avere e averle dato delle droghe per migliorare le prestazioni scolastiche è stata sottoposta a na perquisizione che ha compreso l’ispezione dello zainetto e l’ordine di spogliarsi fino a restare in mutandine e reggiseno e poi di scostare dal proprio corpo, per mostrare se qualcosa vi era nascosto, anche quegli indumenti.
Le pillole erano in realtà state regolarmente prescritte alla ragazza in questione, Savana Redding, la cui famiglia non ha accettato il comportamento della scuola e ha fatto causa. Così la vicenda è arrivata fino alla Corte suprema, chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale del comportamento dei dirigenti scolastici. Il giudizio ha incontrato la quasi assoluta maggioranza, otto voti contro uno.
La sentenza, messa per scritto dal giudice David H. Souter, non dice che le perquizioni a scuola non siano ammesse, anzi sostiene che esse sono sottoposte a a minori garanzie costituzionali di quelle della polizia: la polizia deve ragionevoli motivazioni, le autorità scolastiche hanno bisogno solo di “una modesta probabilità di trovare qualcosa”. Però, nel caso in esame, la perquisizione è stata condotta solo sulla base dell’accusa di una compagna: uno po’ poco per la Corte.
Le polemiche sono già partite. La lotta alla droga ossessiona tutti, genitori, educatori, politici e giudici e le prime reazioni alla sentenza sono state nell’insieme megative perché sostiene un po’ tutto e il contrario di tutto.
Una lettura interessante e consigliata.
