di Andrea
Nella sua prima relazione, la nuova presidentessa di Confindustria ha subito messo in luce gli anelli più deboli del sistema Italia, tra cui spiccava il Pubblico Impiego. Ma non basta parlare di assenteisti e fannulloni per affrontare la questione di un settore pubblico assorbi – risorse e scarsamente produttivo: la vera chiave di volta sono i cosiddetti “raccomandati”: questo vero e proprio esercito di lavoratori reclutati per “diritto divino”, dei quali non si possiede nessuna garanzia sulle loro effettive capacità, visto che l’iter concorsuale non ha portato ad una selezione dei migliori, ma ad una gara tra chi ha amicizie più influenti.
Si deve avere il coraggio e l’onestà di ammettere che il fenomeno del clientelismo esiste ed è massiccio in tutte le strutture pubbliche italiane, come dimostrato anche dalle recenti inchieste di alcuni quotidiani sul nepotismo esasperato presente in alcune Università italiane. A ulteriore dimostrazione dell’entità del fenomeno, l’inchiesta del Messaggero, numero dell’11 Agosto 2007, in cui viene riportato che un nuovo assunto su due deve il proprio posto ad una "segnalazione" di un conoscente. Inoltre corruzione e clientelismo vanno a braccetto, visto che spesso è necessario pagare il potente di turno per poter accedere ad un impiego pubblico, e i dati pubblicati da Trasparency International sulla percezione della corruzione in Italia ci pongono al di sotto del Botswana nella graduatoria mondiale. Sempre Trasparency International, nel suo rapporto "Global corruption barometer" del 2006 mette in risalto che per il 48% degli intervistati le nostre istituzioni non hanno attuato serie politiche contro la corruzione o non l’hanno combattuta affatto ed addirittura l’ 11% sostiene che il parlamento incoraggi la corruzione.
E come si può parlare di incrementi di produttività dei pubblici uffici quando non si ha alcuna idea delle capacità degli uomini che questi miglioramenti dovrebbero conseguire? Mi sembra che si stia tentando di fabbricare un maglione di gran classe con un tessuto di pessima qualità:è praticamente impossibile.
Chi decide di ignorare il problema argomenta che è un fenomeno difficile da misurare; d’accordo, ma questo non significa che non esista. Nessuno ha mai misurato la felicità, eppure tutti cercano di assaporarla!
Inoltre gli effetti del nepotismo non si limitano ad affidare al caso la selezione dei pubblici dipendenti, ma hanno un influenza negativa anche sulle motivazioni dei suddetti lavoratori:non hanno sudato per ottenere il loro posto di lavoro, perché mai dovrebbero dimostrare di meritare il loro salario?
Per non parlare del fatto che le migliori menti e forze d’ Italia non tentano neppure di ottenere un impiego pubblico proprio perché scoraggiate dalla consapevolezza di non disporre dei necessari appoggi per poter ambire a tale obiettivo. I giovani tentano una carriera nel privato non tanto per avere uno stipendio più alto, ma più che altro nella speranza di essere valutati in base alle loro abilità e non per criteri palesemente ingiusti. Questo spoglia i pubblici uffici di una linfa vitale e limita la libertà (intesa come opportunità) di migliaia di giovani valenti. Per confermare l’importanza di intervenire al più presto basti pensare che in Italia il settore pubblico(comprendendo in questo anche i lavoratori delle imprese controllate dallo stato e delle agenzie) comprende quasi 3,5 milioni di dipendenti.
E’ dunque quanto mai necessario arginare questo mal costume, agendo prima di tutto dal punto di vista “culturale”: non è normale essere raccomandati (come invece molti pensano), non voglio più sentir dire ”così và il Mondo”; il raccomandato è un ladro, perché sta rubando un impiego a qualcuno più meritevole, ed è un usurpatore, perché sta occupando un posto che non ha dimostrato di meritare. Poi è importante focalizzare il fatto che, se si vuole effettivamente un settore statale efficiente bisogna cominciare dal reperimento della materia prima:le persone. I criteri per selezionarle sono già molto raffinati, bisogna solo oggettivizzarli ed eliminare i possibili conflitti d’interesse tra selezionatori e selezionati. Ma più di ogni altra cosa è vitale una cosa che fino ad oggi è mancata e che costituisce lo scopo di questa mia riflessione: l’indignazione pubblica, il furore di chi è consapevole di stare subendo un’ingiustizia.