Il turismo di massa sta profanando Ayers Rock, la montagna sacra agli aborigeni che costituisce una delle mete più ambite dell’outback australiano, nel remoto Territorio del Nord.
Incuranti non solo della bellezza ma persino del valore religioso attributo all’imponente formazione rocciosa dagli indigeni, che nella loro lingua la chiamano Uluru (strana), i visitatori sono stati più volte sorpresi a fare i loro bisogni fisiologici all’aria aperta, accampando la scusa dell’assenza di bagni pubblici.
La denuncia arriva dal tour operator Andrew Simpson, secondo il quale molti escursionisti, una volta arrivati in cima al massiccio, non si fanno scrupoli: mancano le toilette, ma «la maggior parte si portano perfino il rotolo di carta igienica da casa», ha attaccato Simpson.
La protesta del tour operator è collegata a un progetto di tutela allo studio delle autorità naturalistiche, che prevede tra l’altro il divieto di scalare Ayers Rock: un’idea alla quale il premier australiano Kevin Rudd si è però detto contrario, definendo «molto triste» l’ipotesi di tenere i turisti lontano dal monolito, celebre per il colore rosso vivo dalle tonalità cangianti in base alla stagione e alla stessa ora.
Uluru, che cela numerosi e preziosi dipinti ancestrali, fu formalmente restituito agli aborigeni nel 1985, e attrae tuttora circa 350.000 visitatori ogni anno.
