Sembrava un episodio isolato: gli operai dell’Innse di Milano non volevano la chiusura della loro azienda e avevano trovato un modo clamoroso per richiamare l’attenzione di un “cavaliere bianco”.
Poi sono venuti i lavoratori di una fabbrica a Marcellina, vicino a Pomezia di Roma. Poi le guardie giurate di Roma che sono salite sul Colosseo perché vogliono la garanzia del posto. Ora altri lavoratori: Lamse 2 di Melfi e Manuli Rubber di Ascoli Piceno.
Capito che ormai lo sciopero non commuove più nessuno (povero Mariano Rumor che si dimise da presidente del Consiglio all’annuncio di uno sciopero generale. Ormai è preistoria), anzi, alla fine lo sciopero costa più ai lavoratori che alle imprese, chi vuole farsi notare deve ricorrere a forme di protesta di forte impatto mediatico.
Il blocco di una linea ferroviaria si è dimostrato il modo più efficace per avere quanto meno un tavolo in prefettura. Piace molto nel meridione e ha piegato tutti i governi, di destra come di sinistra.
Quando si è in pochi, però. Le forse non bastano e l’idea di salire in cima a una gru, un carro ponte o il Colosseo, scoperta dell’estate 2009, si sta rivelando efficace per garantire una visibilità anche mondiale (Colosseo appunto).
Preoccupano, e molto le motivazioni di almeno alcuni di questi episodi e preoccupano ancora di più le reazioni nostre, la società , il mondo intorno a noi.
Le motivazioni. Se la crisi travolge un’azienda, c’è poco da fare. L’imprenditore ha provato a resistere fino all’ultimo, non ce la fa più; se l’utilizzatore di componenti che un’azienda produce cambia fornitore, anche in questo caso c’è poco da fare, in una economia di mercato aperta.
Quando però dietro la chiusura della fabbrica o dell’azienda ci sono motivazioni come quella dell’Innse e della Vigilanza dell’Urbe: trasformazione del volume dello stabilimento in mini appartamenti; decine di milioni di euro che si sono volatilizzati, allora c’è da preoccuparsi, anzi forse qualcosa in più, c’è da allarmarsi.
Non sono fatti eccezionali in sé, l’avidità muove il mondo, la parola dissesto ha fatto rima con tesoro pubblico da che mondo è mondo. Ci sorprendiamo un po’ perché vivevamo illusi che il Male fosse stato estirpato per sempre, la Corruzione finita con “mani pulite”, e vivessimo in una società giusta e equilibrata, socialista e sociale. Ora l’Italia virtuale, quella della politica, dei giornali, dei dibattiti, della società civile, scopre quello che l’Italia reale sa da sempre. Lo scopre con fastidio, come una cattiva notizia durante una festa.
Ed è proprio questo la cosa che preoccupa di più, la voglia di rimozione che assopisce l’Italia e che accomuna un po’ tutti noi, sopraffatti dai tanti problemi: la crisi che incombe su tutto, i conti che arrivano, la fine del mese che non arriva mai, i figli ingovernabili, la scuola che non ci funziona, i coniugi di fatto come di diritto che ti rendono la vita impossibile.
Non abbiamo più voglia di sentirci parlare di problemi altrui, ne abbiamo già tanti di nostri che non ci consola nemmeno leggere quelli degli altri, nemmeno se le disgrazie toccano a Silvio Berlusconi, il più ricco e potente d’Italia in questo momento. Alla fine ci dà fastidio anche lui.
Giulietti scrive che Berlusconi vuole anestetizzare l’Italia, vuole togliere le cattive notizie dal telegiornale. Giulietti ha ragione, Berlusconi, dal suo punto di vista, ha ragione: basta aspettare un po’, le cose riprendono a girare per il verso giusto, i problemi spariscono. Come uno che deve dei soldi a un altro di rimanda la restituzione con la speranza di vincere al superenalotto.
Peccato che le notizie siano la realtà allo stato virtuale. I fatti restano, rimuoverne la rappresentazione fa solo perdere di vista la realtà reale. Nessuno affronta i problemi, ci si accontenta di un mondo di cartapesta, come negli studi dove si girano i film, dove si vedono le facciate delle case, ma dietro ci sono solo cavi e avanzi di falegname.
In vista di più amare sorprese.