È un Bertinotti a tutto campo quello che è intervenuto domenica 17 maggio a Torino nella Sala dei 500 del Lingotto in occasione della Fiera del Libro.
Lo storico leader di Rifondazione Comunista analizza lo scenario politico con gli occhi puntati verso l’attuale situazione a sinistra: «Non dobbiamo sottovalutare i segnali di questi mesi. Se il 43 per cento degli operai dichiara di votare per il centrodestra, non significa che siano diventati tutti matti. Ma che la sinistra, cioè tutti noi con le nostre diverse culture e storie, non siamo stati in grado di intercettare i bisogni di quelle persone».
Ma chi è in grado di riempire quel vuoto? «Il rischio – spiega Bertinotti – è che lo riempia il populismo come dimostrano anche i dibattiti di questa Fiera. Mentre quando parlavamo di combattere il conflitto di interessi tutta la sala applaudiva convinta, quando io introducevo i temi sociali ed economici applaudiva solo una parte non maggioritaria della platea. Forse anche questo è il sintomo delle difficoltà di oggi. Per uscirne bisogna abbandonare la nostra visione provinciale. Abbiamo vissuto con due sinistre per molti anni. E non ci è servito a vincere. Oggi dovremmo piuttosto pensare a un’unica sinistra europea».
Quando gli è stato chiesto come si spiegasse l’evento di sabato, quando lo Slai Cobas ha assaltato un comizio sindacale, Bertinotti ha risposto: «Quel che mi colpisce è questa distanza che si misura tra il movimento dei lavoratori e chi tra i lavoratori ti individua come nemico. È evidente che chi ha compiuto quell’assalto non lo ha fatto perché in quel momento parlava Rinaldini ma nonostante il fatto che parlasse il segretario della Fiom. Come se la spinta a rompere una solidarietà naturale tra lavoratori fosse più forte dei motivi oggettivi che dovrebbero fondarla. Indagare sulle ragioni di quella spinta alla rottura dovrebbe essere uno dei compiti della sinistra, e questo al di là della specifica vicenda dell’assalto di Torino. Vicenda che è molto grave in sé ed è comunque rivelatrice di una nostra debolezza, di una difficoltà a reagire, a isolare chi lavora per la rottura».