É durata poco la trasparenza nel processo ad Aung San Suu Kyi. Il tribunale speciale birmano ha ripreso il processo alla leader del movimento democratico dietro le mura della prigione di massima sicurezza di Insein: porte sbarrate ai diplomatici e ai giornalisti ai quali mercoledì era stata inesattamente concesso di partecipare alla terza udienza. Nonostante il segretario di Stato Usa Hillary Clinton abbia definito “vergognoso” il processo al Premio Nobel per la Pace, la quarta udienza è ripresa poco prima di mezzogiorno ora locale, a porte chiuse e nel mezzo dell’imponente dispiegamento di forze di sicurezza messo in campo da lunedì, quando è iniziato il procedimento. All’esterno del carcere sono rimasti una trentina di membri della Lega Nazionale per la Democrazia, la formazione politica guidata da Suu Kyi. Mercoledì il processo era stato aperto a una trentina di diplomatici europei, asiatici, degli Stati Uniti, a un rappresentante Onu, e ad alcuni giornalisti legati ai mezzi di comunicazione del regime. Sorridente, apparentemente in buono stato di salute, al termine dell’udienza la “pasionaria” birmana ha ringraziato i diplomatici e si augurata di poterli reincontrare di nuovo “in giorni migliori”. Più tardi, la leader birmana ha potuto incontrare nella foresteria della prigione direttamente i rappresentanti di Thailandia, Singapore e Russia, a cui ha detto che una riconciliazione nazionale sia ancora possibile «se tutte le parti lo volessero». Ha anche espresso «la speranza che non sia troppo tardi perchè venga qualcosa di buono da questo sventurato incidente» – ha fatto sapere il governo di Singapore in un comunicato. La televisione di Stato ha poi mostrato le immagini di San Suu Kyi che parlava animatamente con diplomatici e ha fatto sapere che «è in buona salute e le è stata fornita una sistemazione adeguata». Le autorità birmane hanno accusato la scorsa settimana Suu Kyi di aver infranto gli obblighi della sua detenzione coatta permettendo all’inizio di maggio l’ingresso nella sua abitazione di Rangoon allo statunitense John William Yettar, che aveva raggiunto a nuoto la villa su lago. Se fosse dichiarata colpevole, Suu Kyi potrebbe essere condannata a una pena fino a 5 anni, che gli impedirebbe di partecipare alle elezioni parlamentari che la giunta militare organizza per il 2010.