Il destino di Aung San Suu Kyi divide di nuovo l’Occidente e i Paesi asiatici. Il trasferimento in carcere della donna premio Nobel per la pace, con l’accusa di aver violato gli arresti domiciliari quando un uomo nuotò qualche giorno fa fino alla sua casa e lì si trattenne per un paio di giorni, non ha lasciato indifferenti le cancellerie europee e statunitense.
L’Unione Europea ha parlato con la voce di Piero Fassino, inviato speciale per la Birmania, che ha sollecitato la comunità internazionale a “utilizzare ogni strumento di pressione per il rilascio” della leader del’opposizione. Nel corso della giornata si sono intrecciate le proteste francesi, con il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner e quello per i Diritti umani, Rama Yade, che hanno condannato con forza l’arresto, e quelle inglesi con il primo ministro, Gordon Brown.
Nessuno, finora, tranne Amnesty International ha chiesto la convocazione di un Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul regime birmano, dopo la beffa di un’incriminazione che arriva al termine del periodo di arresto domiciliare.
Le condizioni di salute di Aung San Suu Kyi sono peggiorate di recente. Il 7 maggio, le forze di sicurezza avevano impedito al suo medico, Tin Myo Win, di visitarla. Quando questi è rientrato a casa, è stato arrestato e da allora si sono perse le sue tracce.
Hillary Clinton, segretario di Stato americano, ha detto di essere “molto turbata” per accuse “senza fondamento”. Aung San Suu Kyi, ha continuato la Clinton, “deve essere rilasciata immediatamente”.