Venezia è una città finita, svenduta, uccisa nell’animo dalle politiche miopi e clientelari di vent’anni di centrosinistra. A dirlo, è il ministro Renato Brunetta, cittadini al pari di Massimo Cacciari – primo destinatario delle critiche – della Serenissima (raccontò il ministro, poco dopo il suo insediamento, dei suoi trascorsi giovanili in laguna quando vendeva “gondoete de plastica”)
«Venezia oggi è la città dei magnati e dei centri sociali. Degli archistar e della chimica vecchia e velenosa. Dei tycoon e dei giocatori del casinò. Una città mercificata e svenduta da una classe dirigente che ha alzato bandiera bianca su Palazzo Grassi e sulla Punta della Dogana, rinunciando a qualsiasi progettualità per il futuro, inalberando enormi cartelloni pubblicitari che non hanno uguali al mondo per volgarità. Una classe dirigente in fuga, come l’aristocrazia veneziana che si arrese a Napoleone senza sparare un colpo. »
Brunetta contesta bilanci e progetti di tanti anni di amministrazione lagunare, demolendo pezzo dopo pezzo tutti gli assi portanti della politica di Cacciari (dal programma della Biennale al Mose, dal declino di Marghera al turismo incontrollato), e lancia parallelamente la propria immagine di una Venezia futura: «Mi piace parlare di un quadrifoglio. Rilanciare Marghera e dare finalmente dignità di città a Mestre. Completare il Mose. Fare la metropolitana sublagunare, un anello invisibile perché costruito in fondo alla laguna che risolve l’insularità di Venezia, collegando aeroporto, ferrovia, Lido, Giudecca. E completare quello che Renzo Piano chiama il Magnete: il sistema viario intorno all’aeroporto. L’attuale classe dirigente veneziana è contraria a tutti e quattro i petali del quadrifoglio. Che invece dev’essere la premessa su cui poi costruire il Rinascimento culturale della mia città».