Se è giusto condannare i cori razzisti indirizzati dai tifosi della Juventus all’interista Balotelli (ci mancherebbe altro!), è quantomeno ipocrita affermare che il fenomeno sia figlio di quella società multirazziale destinata a crescere nel nostro paese. Il quesito è molto semplice: se Balotelli fosse stato un giocatore della Sampdoria o del Cagliari avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? La risposta è no ed è confortata dal fatto che nessun giocatore di colore è stato insultato così violentemente a Torino e che uno degli idoli della curva bianconera è il maliano Sissoko.
Altro quesito: se Balotelli fosse stato bianco e interista sarebbe stato vittima della stessa violenza? La risposta è sì, perché il ragazzo ha degli atteggiamenti (ma ha appena 18 anni!) che fanno andare fuori giri i tifosi avversari. Tanto che gli insulti se li è beccati in altri stadi prima che a Torino.
E allora la verità è una sola: l’Italia è rimasta quella dei Comuni e dei campanili e ha scelto quel rito tribale che è il calcio per esprimere il peggio di se stessa. È rimasto nella storia lo striscione (“Giulietta è ‘na zoccola”) con cui i tifosi napoletani risposero a quello (“Benvenuti in Italia, però lavatevi”) degli ultras veronesi.
Altri tempi, altra ironia e altro razzismo, non legato al colore della pelle dei calciatori. Ma anche il Cagliari del mitico Gigi Riva veniva
accolto al grido di “pecorai sequestratori”, così come il Catania doveva subire il classico “Forza Etna”. Razzismo? Certamente, e della
peggior specie.
Chi – come gli succedeva abbastanza spesso – aveva capito tutto era stato Gianni Agnelli. Un po’ per convinzione, un po’ per tenersi buoni gli operai Fiat provenienti dal Sud, aveva portato alla Juve i siciliani Furino e Inastasi, il pugliese Causio, il sardo Cuccureddu, il calabrese Longobucco e tanti altri ragazzi arrivati a Torino in cerca di fortuna. Con la maglia bianconera, cessavano di essere “terùn” e la pace sindacale era quasi garantita.
Mettiamoci quindi il cuore in pace. Finché la nostra cultura sarà questa, gli stadi saranno sempre il covo preferito di questi imbecilli
che non si rendono nemmeno conto della loro inciviltà. Ma d’altra parte il calcio è un po’ lo specchio del paese.