Picchiare la propria moglie, o convivente, per educarla a diventare una brava donna di casa, esperta nella gestione domestica, è un delitto che non consente alcuno sconto di pena su richiesta dell’uomo violento autore consapevole di un simile comportamento.
In pratica il marito, o compagno, che adotta un simile metodo nel rapporto con la sua partner non può invocare le circostanze attenuanti di aver agito così per finalità “educative”.
Lo sottolinea la Cassazione – nella sentenza 32843 – che ha confermato la condanna, con rito abbreviato, a un anno e sei mesi di reclusione nei confronti di Domenico G., un uomo di 51 anni, che maltrattava con percosse e lesioni la sua convivente. L’uomo, che ha sempre ammesso gli episodi continuati di violenza, ha sostenuto che il suo obiettivo era quello di ”indurre la sua compagna ad osservare regole di comportamento ispirate ad un modello ideale di gestione familiare”.
Per questo Domenico G. faceva presente di non aver mai voluto ”vessare ed umiliare” la sua compagna, ma solo educarla. Ma questa tesi difensiva, sostenuta fin dal processo di primo grado, e poi innanzi alla Corte d’appello di Torino, non ha ricevuto alcuna accoglienza in Cassazione che ha fatto presente all’imputato che il ”fine educativo” di questo ”comportamento” non può in alcun modo attenuare la condanna.
Così il ricorso di Domenico G. è stato dichiarato inammissibile con condanna al pagamento di mille euro alla Cassa delle ammende.