Per riempire di offese qualcuno il reality è il posto giusto. Secondo la Corte di Cassazione le parole denigratorie usate durante un simile contesto non costituiscono reato.
La sentenza è arrivata dopo la richiesta di risarcimento danni avanzata da un concorrente del programma tv “Survivor”, Franco Mancini, che era stato definito “pedofilo” da un rivale nel gioco.
A spingere l’avversario a questa considerazione era stato l’atteggiamento dell’uomo per corteggiare una donna visibilmente più giovane di lui.
Per la Cassazione però i reality «hanno la caratteristica di sollecitare il contrasto verbale tra i partecipanti», cosa che ai concorrenti «non può sfuggire».
Sono salvi quindi Samuele Saragoni, il concorrente che aveva usato l’epiteto offensivo e Stefano Maniaghi, responsabile del controllo su Survivor per conto di RTI spa.
I giudici hanno definitivamente escluso che non si tratta di un caso di diffamazione, confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma che nel 2008 aveva respinto la richiesta di Mancini.