L’abito non fa il monaco. E nemmeno lo straccione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che con una sentenza ha deciso che non bastano, per dimostrare uno stato di palese indigenza, gli abiti da povero esibiti pubblicamente, magari come mezzo per evitare una espulsione.
I giudici hanno cassato una sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva cancellato l’espulsione di un maghrebino, pescato senza documenti ma “trasandato e con abiti indosso sicuramente non costosi”. Non bastano gli abiti da indigente – secondo la Suprema Corte – a definire la posizione di un migrante economico in condizioni talmente disperate da giustificare la non espulsione.
Ora sarà un’altra Corte d’Appello, giudicando lo stesso caso, a stabilire i reali indici che definiscono veramente povero un migrante, pescato nei controlli di polizia senza i documenti in regola. E ci sarà da divertirsi a vedere come i nuovi giudici scioglieranno la questione.
Non certo andando a cercare la dichiarazione dei redditi del non esplulso o spulciando le griffes che indossa, per quanto logorate.
