Coppie di fatto. Per i giudici, anche nella convivenza c’è l’obbligo del “dovere di cura”

Anche la convivenza, se pro­tratta nel tempo, rende l’obbligo del «dovere di cura» gli stessi reciproci obbli­ghi di assistenza morale e mate­riale» che la legge pone a carico dei soli coniugi e che condanna con pene da 1 a 8 anni «l’abbandono di persona incapa­ce»: è questo l’innovativo principio prospettato dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano nel proces­so a un uomo imputato di aver per due mesi abbandonato nel degrado e da sola sul letto di ca­sa la convivente, incapace di provvedere a se stessa e morta per non essere stata curata per tempo.

Una signora di 56 anni venne ricoverata al Poli­clinico nel maggio 2002, dopo che il 118 l’aveva trova­ta «in condizioni d’igiene scadentissime» nella casa dove viveva con un uomo da 15 anni. la donna appariva devastata dal progredire di un tumore non diagnosticato, bloccata a letto da una frattura al femore non trattata.

Il gior­no seguente dal ricovero, la donna era morta:  il convivente era stato incriminato per «abbandono di incapace» per essere poi assolto nel 2007 nel primo grado di giudizio perché per i giudici la legge limitava ai soli coniugi l’obbli­go all’assistenza morale e mate­riale. Dato che  le due persone non erano marito e moglie, all’uomo non poteva es­sere applicata la norma pena­le che punisce l’abbandono.

Ora in Appello la prima Corte d’Assise «non condivide l’impostazione» dell’assoluzio­ne e ritiene invece configurabi­le che anche «un rapporto di convivenza, prolungato nel tempo, dia luogo a vincoli di di­pendenza reciproca che com­portano necessariamente il riconoscimento giuridico dei dove­ri di carattere sociale sanciti dal­la Costituzione inerenti alla na­tura del rapporto, che assumo­no quale contenuto il soddisfa­cimento quantomeno dei biso­gni primari, quali appunto la sa­lute e l’alimentazione».

I giudi­ci nell’interpretare la sentenza, non si sono avventurati ad equiparare il matrimonio alla convivenza, si sono solo appellati alle norme del codice civile che già prevedono l’ordine da parte di un giudice di pagare un assegno periodico a favore delle perso­ne conviventi che dopo la separazione rimangano prive di mez­zi adeguati.

In questo caso comunque il convivente della signora è stato assolto per mancanza di dolo: in un «contesto così tragicamente anomalo» e degradato, i giudici si sono convinti che non in­tendesse abbandonare la convi­vente e che non avesse l’«esatta percezione» della real­tà.

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Lorenzo Briotti