La Stampa pubblica un commento di Marcello Sorgi sull’atteggiamento dei media riguardo alla crisi economica intitolato ”Un antidoto alla tv da panico”. Lo riportiamo di seguito:
”Da qualche tempo Silvio Berlusconi si lamenta del catastrofismo con cui i media, a cominciare dalle tv, descrivono la crisi economica. Non manca giorno che le aperture dei Tg e le prime pagine dei giornali non si concentrino sulla congiuntura, che a catena, dopo le prime scosse sui mercati americani, ha investito tutto il mondo. Come altri premier suoi predecessori, ma con quel di più che gli viene dall’essere un uomo di televisione, Berlusconi critica, il numero, il linguaggio e la qualità dei servizi pubblicati e messi in onda. Ad esempio, quel dire e ripetere «baratro» per ogni buco che si apre nei conti pubblici, o «crollo» per sussulti o discese di Borse che hanno già bruciato la maggior parte del loro valore, o quell’ansioso rincorrere ogni minima ventilata possibilità di intervento sui tassi della Banca centrale europea, descrivendone sempre effetti e benefici, prodotti o mancati, con voluta esagerazione. O quei richiami ricorrenti e insistiti al ‘29, l’anno della peggior crisi americana, con cui tuttavia, a detta di molti esperti, l’attuale situazione ha ben poco in comune.
Ora, scaricare sull’informazione le conseguenze di previsioni sbagliate ed evidenti deficit di azione di governo è un vizio antico e diffuso. E Berlusconi, anche Berlusconi avrebbe torto, se non fosse che l’ondata mediatica da incubo-crisi sta creando un allarme generalizzato. Una paura che cresce continuamente, seguendo il ritmo frenetico dei media, si allarga, dilaga, e arriva a rendere la gente convinta di stare peggio di come sta. Dal panico alla paralisi e alla stagnazione dei consumi, come avvenne per un anno nella New York insanguinata dall’attentato alle Torri Gemelle, il passo è breve. La paura stessa innesca una spirale di depressione, che spinge all’avvitamento e al peggioramento dell’economia.
Intendiamoci, non c’è molto da rallegrarsi per il momento che stiamo vivendo. Eppure, la lentezza con cui, nelle fasi di crescita, l’Italia arranca, dietro ai suoi più giovani e dinamici concorrenti europei (non parliamo dell’America), oggi, inaspettatamente, ne addolcisce il declino. Pur sofferenti, le nostre due maggiori banche non sono arrivate al fallimento come la Lehman Brothers. Le piccole e medie aziende, che formano l’ossatura del sistema economico italiano, resistono pur tirando la cinghia. Le esportazioni flettono ma reggono. E in mancanza d’altro, le famiglie italiane, con la loro solidarietà interna, sopperiscono artigianalmente all’insufficienza degli ammortizzatori sociali. E’ su un quadro del genere, grave ma un po’ meno grave di quello di paesi più forti del nostro (vedi la Germania), che il panico e il diffondersi di un’ansia non commisurata al reale possono produrre risultati nefasti.
Proprio ieri il Financial Times – che a differenza di molti (non tutti) dei nostri giornali e tg, pubblica ogni giorno analisi approfondite e confronti di dati sull’andamento delle economie di tutto il mondo -, ammoniva sui «brividi» che la paura sta provocando sull’andamento dei principali mercati. E ricordava il commento fermo del presidente americano Roosevelt, ai suoi tempi, di fronte al crollo di metà della Borsa Usa: «Noi non dobbiamo aver paura di nulla, se non della stessa paura». Quanta saggezza e quanto senso di responsabilità in quelle parole pronunciate in un tempo terribile, con una guerra appena conclusa alle spalle. E quale distanza, dai quotidiani annunci di terremoti, che accompagnano i nostri giorni di crisi.
In sintesi, per quel che s’è potuto capire negli ultimi mesi, la situazione è tale che, o ci sarà la fine del mondo, oppure, come tutti si augurano, non ci sarà. Siccome non c’è ancora stata, è più possibile, o forse meno improbabile, che tutto quel che finora è andato giù tornerà a risalire, magari anche più velocemente del passato. Qualche consiglio, qualche approfondimento, e messaggi di rassicurazione, diffusi con serietà e competenza, non guasterebbero, mentre tutti vedono continuamente assottigliarsi il valore dei propri risparmi e crescere i timori per il futuro. Ma da soli, certo, è chiaro che non possono bastare.
Berlusconi dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza. Non è isolato, anzi, può perfino aver ragione a lamentarsi degli effetti ansiogeni dei media. Ma non può negare che dopo un intervento tempestivo ed efficace, con il varo di due decreti, al momento dell’esplosione della crisi, da giorni e giorni ormai il governo annuncia un piano anticongiunturale che continua a non arrivare.
Nel frattempo, il Cavaliere, e con lui Veltroni, sembrano molto più attirati dalla leggerezza tragicomica della vicenda dei vertici Rai, piuttosto che dalla durezza dei problemi reali. Ma nelle more della guerra infinita sul dominio della tv, s’intuisce una sorta di lavorio, tutto interno al centrodestra. Una tensione tra il premier, che vuole a tutti i costi mettere soldi da spendere nelle tasche della gente, dando così una scossa positiva ai consumi addormentati, e il ministro dell’Economia, che pur avendo intuito in anticipo la gravità della crisi e consentendo sulla necessità di una svolta, deve far quadrare i conti pubblici e rispettare gli impegni presi a Bruxelles. Di rinvio e rinvio, l’urgenza delle decisioni è manifesta, insieme con la sua difficoltà. Se Berlusconi continua ad aspettare, poi non potrà lamentarsi, per aver letto, o sentito parlare in tv, di un suo «braccio di ferro» con Tremonti”.