Il primo ministro britannico ha ieri messo i piedi nel piatto delle risposte che i Paesi stanno dando alla crisi economica. «C'è un protezionismo implicito in quello che sta succedendo », ha detto Gordon Brown. Non solo negli aiuti di Stato alle industrie in difficoltà. «C'è anche un protezionismo finanziario – ha spiegato – Con le banche che una volta si espandevano globalmente e ora tornano a casa». Brown parlava davanti a un migliaio di politici, banchieri, industriali, manager, economisti, responsabili di organizzazioni non governative riuniti al World Economic Forum di Davos, sulle Alpi svizzere. Lo intervistava Christiane Amanpour, la giornalista della rete tv americana Cnn. Il primo ministro ha voluto lanciare un messaggio positivo, di fiducia. Ma non ha potuto evitare di lanciare l'allarme per quello che è il rischio forse maggiore, dal punto di vista economico e politico, sollevato dalle risposte nazionali alla crisi. I pacchetti di salvataggio delle banche, i piani di stimolo alle economie, le garanzie fornite alle imprese sono sviluppi inevitabili, di fronte al crollo del sistema finanziario e alla recessione globale. Ma sono misure nazionali e quindi hanno il rischio intrinseco di provocare una gara a chi darà più soldi alle sue banche e alle sue industrie. Una corsa che, se finisse fuori controllo, sarebbe disastrosa.
PREOCCUPAZIONE CONDIVISA – La preoccupazione è ormai condivisa da tutti i leader. Tanto che, sempre ieri a Davos, una riunione voluta dal segretario dell'Organizzazione mondiale del Commercio Pascal Lamy ha lanciato un appello a firmare in fretta il Doha Round, i negoziati per la liberalizzazione dei commerci mondiali. La novità è che questa è stata presentata come una misura anti-crisi, che aiuta l'economia e, soprattutto, è un antidoto al nazionalismo. Brown si è concentrato sui rischi nel campo della finanza. E ha ricordato le conseguenze che stanno avendo i passi indietro fatti dalle banche in termini di globalizzazione, di «ritorno a casa» perché non sono più in grado di operare su scala mondiale. «Due anni fa – ha detto – il credito ai Paesi emergenti era di mille miliardi di dollari. Quest'anno è previsto che crolli drammaticamente a 150 miliardi». Il problema, dunque, va affrontato collettivamente, per evitare che l'economia e la finanza si ritirino nei confini nazionali e l'economia globale si blocchi. Si può fare, ha detto: «Qui a Davos abbiamo visto che i leader del mondo sono pronti a prendere decisioni per fare passi avanti». Da Angela Merkel a Wen Jiabao, da Putin ai leader dei Paesi emergenti «tutti sono d'accordo di assegnare alla riunione del G20 del 2 aprile a Londra un'importanza altissima per ricreare fiducia nel sistema finanziario ».
«NUOVA BRETTON WOODS» – L'idea di Brown, ma anche degli altri leader, è di mettere al tavolo le 20 maggiori economie del pianeta e uscire con progetti concreti su come affrontare in modo coordinato l'emergenza e su come impostare un nuovo sistema di regole e di governo dell'economia del mondo. Brown la chiama «nuova Bretton Woods», la cencelliera tedesca Angela Merkel la chiama «nuovo ordine economico mondiale» ma l'idea è la stessa: norme e istituzioni per una globalizzazione condivisa, non più dominata dagli Stati Uniti e coordinata, non nazionalista.