Il Sole 24 Ore pubblica un’analisi di Silvio Fagiolo sulle prospettive della campagna elettorale di John McCain. La riportiamo di seguito:
Riformulare l’agenda conservatrice sarà il compito più arduo di un McCain prossimo presidente Usa. In una stagione elettorale in cui la politica estera incombe minacciosa i neoconservatori potranno ancora far leva sulla guerra. McCain dovrà mantenere dalla sua parte quel trenta per cento dei votanti che hanno fiducia in Bush. Vorrà mobilitare in suo favore la destra religiosa, pagando il tributo di non poche ambiguità su temi come l’aborto. Ma il silenzio che circonda Bush al crepuscolo anticipa il giudizio della storia. Se McCain andrà alla Casa Bianca potrà attingere a una tradizione di partito che non è necessariamente quella dell’individualismo esasperato e della conflittualità permanente del presidente uscente.
McCain vorrà essere un presidente che non lasci il Paese e il mondo in balia delle forze impersonali della globalizzazione. Le vicende finanziarie di questi anni repubblicani hanno reso vulnerabile la classe media, rilanciano la funzione regolatrice dei pubblici poteri, disputano il partito alle mani radicali che avevano cercato di cancellare l’esperienza del XX secolo. I grandi presidenti conoscono l’importanza della felicità in un Paese che la pone al centro di tutto sin dalla sua indipendenza. Ma le disuguaglianze si sono accresciute fortemente nella società che Bush lascia al suo successore, in un’America che già John Adams giudicava troppo grande per restare unita. Interventi riequilibratori saranno indispensabili. Già Theodore Roosevelt, al quale McCain si richiama volentieri, aveva promosso le prime limitazioni al primato di quelli che egli chiamava «i malfattori della grande ricchezza». Eisenhower, al momento di lasciare, aveva ammonito contro lo strapotere del complesso militare-industriale. Nixon, che pure per vincere le elezioni sapeva sfruttare come nessun altro il lato oscuro dell’America, tentò di introdurre il reddito minimo.
McCain propone progetti di ingegneria sociale che non lascino in piedi risentite e amare dipendenze di alcuni gruppi, anche se il suo Stato non è il grande elemosiniere della concezione democratica. Dichiara che renderà permanenti gli sgravi fiscali di Bush, si oppone a ogni modello di sanità universale, che priverebbe i cittadini della libertà di scelta. Ma non vuole «ridurre lo Stato a dimensioni tali da poterlo affogare in una vasca da bagno». Nella sua agenda c’è già un interventismo giustificato dall’emergenza sanitaria. Il capitalismo, nella migliore versione repubblicana, non è solo avidità e gusto del profitto. Presume norme di comportamento, la rinuncia alla gratificazione immediata, la reciproca fiducia.
McCain nelle relazioni internazionali si richiama a Reagan e al suo primato della democrazia, in un secolo nel quale i nazionalismi vengono allo scoperto. Sarà più agevole promuovere la democrazia riducendo la dipendenza degli Stati Uniti da quei carburanti fossili che sono divenuti il principale strumento di sostegno di dittature nutrite di una ricchezza assai primitiva. Un programma energetico che cerchi di sfuggire parzialmente a questa servitù e che McCain promette, nonostante le ulteriori trivellazioni, si discosta dalla cultura conservatrice di Bush. McCain ha avanzato idee sulla tutela dell’ambiente che hanno fatto inorridire i liberisti del Wall Street Journal. Se McCain vincesse dovrebbe guidare un Paese nel quale la varietà dei gruppi razziali è cresciuta oltre misura, non sono più i cittadini di origine europea a prevalere. In tempo di crisi l’ideologia del divenire (l’assimilazione degli immigrati) si trasforma in una ideologia dell’essere. L’America si sente minacciata dal diverso, ieri ebrei, cattolici, oggi gli immigrati dal subcontinente e dall’Asia. Ma McCain non potrà , né vorra sacrificare ogni particolarismo sull’altare di una identità comune. Era stato Eisenhower a imporre con la forza militare l’integrazione dei neri nelle scuole del Sud. La sua è una politica migratoria che punta all’assimilazione. La Costituzione esprime una visione conservatrice dell’uomo, la sua corrutibilità e fragilità , il primato delle istituzioni rispetto alle virtù salvifiche delle masse e degli individui. Riportare la Costituzione al centro, sottrarla alle forzature di questi anni, potrebbe essere l’ultimo dei motivi dominanti di un’eventuale presidenza McCain.
