di Daniela
Mi definisco una «cattolica dissidente» sin dal 1991, quando a 23 anni, dopo un lungo percorso all'interno delle comunità parrocchiali e diocesane, mi sono allontanata causa l'incapacità di poter instaurare un confronto vero con preti e vescovi su tematiche quali celibato e nubilato di sacerdoti e suore, divorzio, contraccezione, aborto, eutanasia, ruolo della donna, omosessualità e sessualità. Il sunto delle risposte era «o stai con noi senza mettere in discussione nulla o sei fuori». Ci sono state persone «illuminate» che mi hanno dato molti spunti di riflessione: alcuni miei educatori, i padri gesuiti che per un po' di anni vissero a Follonica (la città in cui sono cresciuta); ma spesso queste persone erano emarginate se non ostacolate dalle istituzioni ecclesiatiche locali. Credo che la Chiesa romana in questi ultimi 30 anni si sia involuta rispetto al Concilio Vaticano II, e credo che una buona parte della responsabilità sia da attribuirsi a Giovanni Paolo II, uomo di grandi qualità umane e mistiche, ma estremamente rigido in materia dottrinale (del resto Joseph Ratzinger era il suo «braccio destro», in materia di fede). La Chiesa non è infallibile, perché fatta di uomini e come tale risente delle epoche storiche che attraversa. Credo però che da un po' troppo tempo si stia dimenticando due concetti fondamentali: il rispetto del libero arbitrio e la compassione cristiana. E in questo momento storico così difficile è una grave mancanza.