ROMA – ”Io so chi ha rapito Emanuela, รจ un sistema, un intreccio di poteri che collegano il sequestro all’ attentato a Wojtyla. I mandanti volevano condizionare la volonta’ del Papa”. Esordisce cosi’ Pietro Orlandi, fratello di Emanuela e figlio di un messo papale, nell’ intervista con Vanity Fair – in edicola domani – in cui per la prima volta parla del suo libro ‘Mia sorella Emanuela’, scritto a quattro mani con Fabrizio Peronaci, giornalista del Corriere della Sera.
Il volume, che ripercorre la tragica scomparsa di Emanuela rapita il 22 giugno 1983 e mai piu’ ritrovata, esce il 13 maggio, a trent’anni esatti dal giorno dell’attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Il lungo diario si apre con il sequestro di Emanuela e si chiude sull’ incontro di Pietro con Ali Agca, che tento’ di uccidere il Papa quel 13 maggio 1981 e che, nel 1997, scrisse alla famiglia Orlandi una lettera che oggi per la prima volta e’ pubblicata integralmente su Vanity Fair. Ali Agca le ha fatto dei nomi anche clamorosi.
Quanto si e’ stupito? ”Non piu’ di tanto. Ho sempre pensato che in questa vicenda vi sia la responsabilita’ di piu’ persone e che si tocchino livelli molto alti. Mi aspettavo che i magistrati mi convocassero dopo l’ incontro con Agca, ma, a distanza di quindici mesi, nessuno ancora mi ha chiamato. Mi auguro che lo facciano adesso”. Nella lettera, Agca le ha assicurato che Emanuela e’ viva e sta bene. ”Io spero che sia cosi’ e che, come mi ha detto lui, ”questa menzogna arrivi presto alla fine”. Pero’ queste sono parole di Agca e, anche se mi ha indicato un percorso per liberare mia sorella, io non ho gli strumenti per farlo”.
A suo tempo, Wojtyla fece diversi appelli pubblici per Emanuela. Ma Agca esclude che il Papa sapesse. ”Wojtyla e’ stato molto vicino, anche personalmente, alla mia famiglia, e questo ci e’ stato di grande conforto. A differenza di Agca, pero’, io sono convinto che sapesse. Il 27 luglio, quando convoco’ i miei in Vaticano, Giovanni Paolo II, in lacrime, parlo’ per la prima volta di ”un’organizzazione terroristica”.
”E alla vigilia del Natale 1983, quando venne a casa nostra per portarci un regalo e gli auguri, si mostro’ fin troppo chiaro. Ho ancora nelle orecchie la sua voce, le sue parole: ‘Cari Orlandi, voi sapete che esistono due tipi di terrorismo, uno nazionale e uno internazionale.ย La vostra vicenda e’ un caso di terrorismo internazionale’. Disse proprio cosi’, come se avesse delle prove. Ed era il massimo rappresentante della verita’ in terra che, in quel momento, condivideva con noi il nostro dramma. Il Papa non si puo’ esporre in questo modo se non sa”.
Nel 2009 vi siete rivolti anche a Benedetto XVI, con una lettera fin qui rimasta segreta. Con quali risultati? ”Zero, purtroppo. La Santa Sede che io considero la mia seconda famiglia, questa volta non ha ritenuto di spendere nemmeno una parola per una ragazza che era cittadina vaticana. Per una famiglia che serve il Papa fin dal 1920, dai tempi di mio nonno. E’ questa indifferenza da parte degli uomini della Chiesa, questo muro di gomma opposto con ostinazione alla chiarezza e al dolore che mi fa male e che rende difficile, a me credente, continuare a credere in chi dovrebbe rappresentare Cristo in terra”. E adesso che cosa si aspetta? ”Che il Vaticano sgretoli il suo muro di gomma. Che chi sa si faccia vivo e assuma le sue responsabilita”’.