Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Alberto Ronchey sui rapporti tra Europa e Russia dopo la guerra in Georgia intitolato ”Europa e Mosca, l’ora del rischio”. Lo riportiamo di seguito:
”Nella guerra d’agosto, se il governo georgiano di Mikhail Saakashvili ha commesso un errore con l’intervento militare contro il separatismo dell’Ossezia meridionale, un errore più grave ha commesso Vladìmir Putin con l’invasione prolungata della Georgia, nazione pienamente sovrana. Queste le responsabilità , secondo il prevalente giudizio. E le conseguenze?
Per ora, la vertenza internazionale sembra limitarsi a gestualità , come l’esibizione delle flotte nel Mar Nero, oltre la recente decisione russa di stanziare 7.600 soldati nelle regioni separatiste. Putin ha reso evidenti le troppe velleità , e le contraddizioni, delle diplomazie occidentali. Ma ora, secondo le analisi di alcuni osservatori, si prospettano rischiose incognite per Mosca. L’Ossezia russofila, esaltata, può scontrarsi con l’inquieta Inguscezia. La Cecenia pare sottomessa, ma non del tutto e solo dopo la demolizione di Grozny, un’esperienza non ripetibile in altre circostanze. L’incombere dei russi sul Caucaso come pretesi «fratelli maggiori » provoca non solo apprensioni, ma diffidenti reazioni fra gli armeni e gli azeri.
Non è tutto. Una volta sancita per decreto di Mosca l’indipendenza di Ossezia e Abkhazia dalla Georgia, ci si domanda quante ribellioni finora latenti o quante vertenze sui diritti di secessione potranno investire la stessa Federazione russa, con le sue innumerevoli etnie distribuite in tante repubbliche autonome su due continenti.
Dopo la guerra d’agosto è anche da segnalare qualche danno finanziario per Mosca, più o meno collaterale. Lo stesso ministro delle Finanze, Aleksej Kudrin, ha riconosciuto che nei due primi giorni dell’invasione in Georgia la fuga di capitali stranieri dalla Russia raggiungeva 7 miliardi di dollari. Poi s’è appreso che nei giorni successivi le riserve di Mosca in valuta risultavano diminuite in misura pari a 16,4 miliardi di dollari. La superpotenza energetica, beninteso, dispone di risorse ingenti per esercitare pressioni efficaci al servizio della sua influenza su scala internazionale, non senza qualche azzardo. Eppure, malgrado l’ottimismo di Putin, l’economia interna della Russia non pare affatto stabile, con quell’inflazione al 14,7 per cento.
In materia strategica e geopolitica, sul momento la maggiore controversia riguarda l’opportunità di accogliere nella Nato la Georgia oltre all’Ucraina benché divisa tra russofili e occidentalisti. L’ipotesi non trova d’accordo la maggioranza dei governi europei, perché sull’argomento sarebbe necessaria una particolare cautela. Spingere ancora la Nato verso i confini occidentali della Russia comporta il pericolo di provocare un sussulto esasperato dell’orgoglio nazionale «granderusso». Non è in questione solo il neo-nazionalismo di Putin o d’una oligarchia militare, ma un sentimento popolare propagato da secoli.
Qui s’impone, per gli occidentali, un complesso dilemma. Non procedere all’espansione ulteriore della Nato potrebbe placare i patrioti russi, già frustrati dal «voltafaccia della storia » che negli anni ’90 ha disfatto il potere tradizionale di Mosca? Oppure la moderazione occidentale potrebbe incoraggiare gli ultranazionalisti, anche nella pretesa d’imporre ai vicini un ritorno alla dottrina della «sovranità limitata »? Di fronte a queste domande, non si può forzare una risposta immediata”.
