La Stampa pubblica un commento di Marcello Sorgi sulle iniziative di Fini in vista di una possibile successione a Berlusconi intitolato ''Sullo sfondo la successione''. Lo riportiamo di seguito:
''Va detto subito: la durezza con cui il presidente Fini ha reagito ieri all’ennesimo voto di fiducia sul decreto anti-crisi è pienamente giustificata. Un esecutivo in carica da pochi mesi, che per la decima volta pone una richiesta del genere alla Camera, governa solo praticamente a colpi di decreti e fiducie. Per quanta urgenza e necessità abbia di vedere approvati i propri provvedimenti, sta trasformando l’eccezione nella regola, e mettendo il Parlamento in condizione di non poter più esaminare, discutere e modificare le scelte del governo.
Nei corridoi di Montecitorio però, subito dopo lo scontro plateale tra Fini e il ministro Vito, i cronisti si esercitavano per stabilire quante volte di recente il presidente della Camera abbia preso posizione contro Palazzo Chigi. Chi dice sei, chi tre. A memoria recente, Fini, infatti, oltre a stigmatizzare l’abuso di fiducia, è intervenuto la scorsa settimana contro la proposta della Lega di imporre una tassa agli immigrati per il rinnovo del permesso di soggiorno.
Poi, negli stessi giorni, sulla riforma della giustizia: sia nel merito, per proporre una serie di punti più vicini alle proposte dell’opposizione, sia nel metodo, suggerendo di procedere con il massimo di condivisione, mentre il governo non esclude di approvare la riforma con i soli voti della sua maggioranza.
Ancora, andando indietro nel tempo, Fini ha criticato l’ostruzionismo del centrodestra contro l’elezione di Leoluca Orlando alla presidenza della commissione di Vigilanza Rai, e le mancate dimissioni del senatore Villari dalla stessa presidenza. S’è schierato contro l’abuso dei decreti legge da parte del governo. Ha denunciato il «rischio di cesarismo» nel Pdl. Ha concordato con Massimo D’Alema sulla necessità di promuovere una nuova commissione bicamerale per le riforme istituzionali.
Come si vede, una serie di iniziative – sempre legittime – istituzionali, cioè più consone al suo ruolo attuale, e politiche, legate a quello pregresso di leader del centrodestra. Un attivismo che, sia detto per inciso, non è che dalla maggioranza sia stato sempre accolto con entusiasmo. Mentre è chiarissima – ancorché repressa – l’irritazione di Berlusconi. Anche perché Fini non è il solo a dissentire nell’ambito della maggioranza. C’è la Lega che non ha digerito l’accordo Alitalia-Air France, e la Moratti che per le stesse ragioni s’è schierata con Bossi.
Questo malessere così evidente ha una sola spiegazione, che potrebbe sembrare avventata, ma non lo è. A nove mesi dalle elezioni politiche che lo hanno visto vincitore, nel centrodestra s’è aperta in anticipo la partita per la successione di Berlusconi. Niente di nuovo. Ma quel movimento, quell’effervescenza, che si erano già viste alla fine della legislatura 2001-2006, stavolta spuntano all’inizio, con il rischio di indebolire il governo.
Il motivo di tanta agitazione è la nascita del Pdl. Beninteso, la vera nascita, il congresso che dovrebbe dare al Popolo della libertà le forme di un partito organizzato, dopo l’uscita a sorpresa di piazza San Babila a novembre 2007 in cui il Cavaliere fondò la sua nuova creatura dal predellino di una Mercedes.
La sensazione è che Fini più esplicitamente, ma anche altri, tra quelli che possono ambire alla successione del premier, si preparino a una battaglia congressuale di tipo classico: con tessere, delegati, votazioni e candidature contrapposte e trasparenti. Attualmente di questo non c’è ombra, nel Pdl che prepara le sue assise. Ed è naturale che la componente An, che ha alle spalle una storia partitica più classica, faccia sentire più forte la sua voce prima che sia troppo tardi.
A Berlusconi infatti, è ormai noto, queste cose non piacciono. Vale per il Parlamento e vale pure per il partito. Il Cavaliere sa di aver scelto uno per uno i suoi deputati e senatori, e dopo averli candidati e fatti eleggere grazie alla legge che ha promosso e alla sua personale campagna elettorale, crede anche di potergli chiedere di votare la fiducia senza far storie.
Stesso discorso è prevedibile per il Pdl. La partita è appena aperta e sarà interessante, alla fine, vedere chi la spunterà. Un partito senza regole democratiche interne non è un partito. Ma se il gioco è quello di trasformare il premier da papà a nonno del neonato Pdl, chiedendogli di indicare il suo successore, è anche probabile il rifiuto di Berlusconi, pronto a risalire sul predellino e a ricominciare da capo''.