Parigi, ha scritto Ernest Hemingway, era una ”festa mobile”, con centinaia di bistrot, caffè e brasserie dove scorreva la vita della Ville Lumière dall’alba al tramonto ed oltre. Adesso la crisi economica ha cambiato anche questo, a quanto scrive Le Figaro. In quei luoghi si incontravano lui, Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Gertrude Staein e gente comune seduti ai tavolini di fuori o nei caratteritici interni dei locali. Tempi andati.
Chi avrebbe mai immaginato che la «festa mobile» sarebbe stata un giorno minacciata da tanti nemici: crisi economica, cambiamento delle mode e dei gusti, normativa antifumo, rivoluzione delle abitudini della clientela, ritmi di vita sempre più veloci, costi di gestione. Ma le cifre sono impietose: sei chiusure in media al giorno, duemila l’anno scorso. In Francia sono rimasti trentottomila esercizi, quando all’inizio del secolo scrso erano mezzo milione, duecentomila negli Anni 60 e cinquantamila ancora due anni fa.
Il tradizionale bistrot di quartiere è stato rimpiazzato da altri generi di locali. Avanzano, come cavallette, sushi bar, cucina fusion, pizzerie italiane, kebab bars. Prendono piede catene alimentari come Steak House e fast food. E il cliché romantico popolare — camerieri con gilet neri e grembiuli lunghi, baguette e uova sode, fumo di miriadi di Gitanes — viene soppiantato da arredi, insegne e architetture che rubacchiano un pò dovunque stili e inseguono tendenze mutevoli. Aspetti della ”festa mobile” cominciano a omologarsi, come la cucina, a tanti angoli del pianeta. Parigi è diventa un pò Manhattan, un pò Tokyo, un pò Milano.
Anche il personale cambia: modelle e studentesse servono nei locali più alla moda e non raramente sono più attraenti del menù. E i locali che resistono a tutte le epoche — Les Deux Magots, le Flore, Lipp, la Rotonde per citare i più famosi — conservano ambiente e stile, ma hanno cambiato clientela: una fauna eterogenea di turisti stranieri. Il dopo shopping ha sostituito il dopo teatro, la conversazione al cellulare e alla lettura di Le Monde, che si ostina però a uscire il pomeriggio.
”I bistrot pagano l’incapacità di adeguarsi alle nuove forme di ristorazione e al divieto di fumo” , spiega l’esperto, Bernard Boutboul, direttore di un centro studi del settore. ”Il fenomeno è allarmante — ha detto Bernard Quartier, presidente dell’associazione che raccoglie quarantunmila esercizi, discoteche comprese. I bistrot, dice, sono in gran parte responsabili della crisi. I consumatori non vogliono più soltanto bere un caffè e fumare.
I bistrot che resistono meglio sono infatti quelli che hanno ampliato l’offerta, introducendo la ricevitoria del lotto, la rivendita di giornali, lo schermo piatto della Tv per le partite di calcio e rugby, il brunch della domenica. Appunto trasformandosi. Ma non sono più bistrot.