Tuttavia, un completo ritiro dall’enclave palestinese almeno per ora non è previsto: nemmeno in considerazione del fatto che mancano poche ore all’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. A una specifica domanda in proposito, infatti, una portavoce dell’Esercito dello Stato ebraico, Avital Liebovich, ha tagliato corto: «Per il momento di un totale ritiro delle nostre truppe non se ne parla». Sono così state indirettamente smentite le indiscrezioni, filtrate ieri sui mass media in Israele, secondo cui l’intenzione dello stato maggiore sarebbe invece stata quella di lasciare completamente Gaza prima dell’avvento di Obama come nuovo presidente degli Stati Uniti, così da non creare fin dalle battute iniziali imbarazzo a un tradizionale e fondamentale alleato. «Dipenderà dalla situazione concreta sul terreno», hanno commentato a loro volta fonti riservate del ministero della Difesa israeliano. «Stiamo progressivamente riducendo il numero dei nostri uomini nella Striscia di Gaza, ma le unità al di fuori di quel territorio le teniamo in allerta, allo scopo di reagire con rapidità a qualsiasi tipo di circostanza».
Intanto a Gaza City stanno tornando alla luce del sole – dopo settimane di clandestinità – i dirigenti di Hamas. Affermano a gran voce di essere usciti vincenti dalla prova militare con Israele. In una spavalda conferenza stampa, il portavoce del braccio armato di Hamas, Abu Odbeida, ha sostenuto che la sua formazione ha avuto 48 vittime e che ha inflitto ingenti perdite all’esercito israeliano. Abu Obeida ha ribadito che anche in futuro Hamas tornerà ad amarsi e sarà in grado di colpire in profondità il territorio israeliano. Da parte sua il ministro israeliano degli esteri Tzipi Livni ha espresso oggi compiacimento per il vasto sostegno internazionale – confermato ieri alla Conferenza di Sharm el-Sheikh (Egitto) – alla lotta contro il traffico di armi destinate a Hamas.
Ma se anche esso non avesse effetti pratici, ha avvertito, Israele si sentirebbe in diritto di tornare a colpire militarmente l’asse Filadelfi: ossia il confine fra Egitto e Gaza, da dove secondo lo stato ebraico negli anni passati sono state contrabbandate ingenti quantità di armi.
Sul piano politico palestinese intanto, una prima apertura è giunta dal premier dell’Anp Salam Fayyad, secondo cui è necessario dare vita adesso a un «governo di riconciliazione» nazionale, che unisca al-Fatah e Hamas e consenta di superare la lacerazione fra Gaza e Cisgiordania. Un progetto internazionale di ricostruzione a Gaza è in fase di organizzazione e l’Anp, ha anticipato Fayyad, intende svolgervi un ruolo di primo piano.