Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Franco Venturini sulle iniziative della UE per fermare la guerra a Gaza intitolato ''La chance di Sarkozy''. Lo riportiamo di seguito:
''L'agitarsi della diplomazia europea per i combattimenti a Gaza — pur ampiamente giustificato da considerazioni umanitarie — può apparire tardivo e inutile. Tardivo perché una Europa alle prese con la crisi finanziaria non si spese troppo, in novembre e nella prima metà di dicembre, a favore del rispetto e del prolungamento della vacillante tregua tra Israele e Hamas. Inutile perché è noto a tutti che Gerusalemme non intende per ora accettare alcuna tregua, ma anzi si sforza, come ha energicamente fatto ieri Tzipi Livni, di ricordare gli impegni che la comunità internazionale ha da tempo preso proprio contro Hamas.
Eppure nell'iniziativa dei ministri Ue non tutto è fuori tempo o ingenuo. Così come non è soltanto un caso di bulimia politica, dopo i successi della presidenza europea, a far giungere in Medio Oriente l'inarrestabile Nicolas Sarkozy. Il capo dell'Eliseo sembra invece avere in mente due obbiettivi ben chiari. Primo distinguersi da Bush, inserirsi nel vuoto della transizione americana e se possibile condizionare il silenzioso Obama che tra due settimane sarà alla Casa Bianca. Secondo e più importante, posizionare se stesso e l'Europa per un eventuale «scenario libanese», nel quale, come al termine del conflitto tra Israele e Hezbollah nel 2006, si rivelasse utile un apporto esterno per garantire la stabilità. Nel Sud Libano nacque Unifil II, e allora fu l'Italia a guidare l'operazione. Lo scenario può ripetersi a Gaza? La Livni e molti altri lo negano, ma nel dubbio questa volta è la Francia a proporsi. Il che ci porta a un quesito fondamentale: appurato che di tregua imminente non si parla, quale sarà la strategia israeliana nel medio termine?
Lo strapotere militare di Gerusalemme punterà a sradicare con la forza Hamas e ad eliminare i suoi leader, oppure Gaza sarà teatro «soltanto» di un castigo tanto duro da bloccare il lancio di razzi contro la popolazione civile israeliana e da indurre Hamas a più miti consigli? Immersi come sono in una campagna elettorale, la Livni, Barak e il loro rivale Netanyahu hanno lasciato trasparire approcci non identici. Che si riducono a due schemi principali. Nel primo, quello più radicale, l'operazione «piombo fuso » deve servire ad archiviare la struttura di potere di Hamas una volta per sempre, perché soltanto così Israele potrà acquisire la certezza di non vedersi piovere addosso nuovi razzi magari più micidiali di quelli usati finora dagli estremisti palestinesi. Questa ipotesi, però, avrà un prezzo alto in perdite di vite anche civili, comporterà una almeno iniziale rioccupazione militare di Gaza, e scaverà tra israeliani e palestinesi un fossato forse non più colmabile, certamente non colmabile da un delegittimato Abu Mazen seduto sui carri armati di Israele.
Non stupisce che a Gerusalemme consensi più ampi accompagnino un secondo scenario. No alla rioccupazione permanente o semi-permanente di Gaza. No alla eliminazione fisica di Hamas, perché non si può eliminare un intero movimento che è anche di popolo e che nel 2006 vinse le elezioni palestinesi. Sì a una azione militare tanto prolungata quanto servirà per distruggere le attrezzature di lancio dei razzi, i tunnel sotterranei di rifornimento, e ogni altro sostegno alla sfida missilistica di Hamas. A quel punto e soltanto a quel punto sarà concepibile un cessate il fuoco. Che tuttavia lasci a Israele le mani libere per nuove incursioni in caso di necessità e non conceda a Hamas l'apertura dei varchi di transito da e per Gaza (gli uomini di Hamas sono certamente pericolosi fanatici, ma andrebbe ricordato che la gestione di questi varchi da parte israeliana non è estranea ai furori che regnano nella Striscia) . Si tratta, in questo secondo caso, di uno scenario realistico? Certamente sì, ma molte sono ancora le incognite.
Per accettare la tregua Israele ha bisogno che siano prima cessati quei lanci di razzi che continuano in queste ore. Altrimenti si tratterebbe di una «non vittoria», come nel 2006 in Libano. Hamas ha invece l'esigenza opposta: che fino a un minuto prima del cessate il fuoco siano stati ancora lanciati dei razzi, in modo da avere qualcosa da negoziare. Malgrado la sproporzione delle forze, l'esito di questo braccio di ferro non è scontato. Come non è sicuro che serva, o che venga accettata (anche se Ehud Barak sarebbe meno contrario della Livni) una garanzia internazionale sul terreno. E soprattutto, che dirà, che farà Obama quando si sarà tolto il bavaglio che porta sulla bocca? Anticipare i tempi va bene, ma forse Sarkozy ha anticipato troppo. La guerra, sconvolgente al di là di ogni propaganda, continuerà. E gli abitanti civili di Gaza, fratelli per una volta del caporale israeliano Gilad Shalit ostaggio di Hamas, continueranno a sperare di vederne la fine''.