Mario Rollig ha quarantuno anni. E, come gli altri 72 mila che finirono in un gulag per aver tentato di sconfinare dalla Germania Est alla Germania Ovest, ha un buon motivo per ricordare ogni giorno il suo tragico passato. Ora, vuole denunciare il dramma degli ex-prigionieri della Stasi (la polizia segreta sovietica), contro la recente tendenza a guardare con rimpianto all’esperienza della Repubblica Democratica Tedesca: “Ostalgie” è chiamata nella Germania unita quella particolare forma di nostalgia per la vita nell’ex-Rdt.
Sentimento assolutamente ingiustificato secondo Röllig, e sorto dall’equivoco per cui «un sistema che chiudeva i suoi cittadini dietro un muro, incarcerava chiunque criticasse (…) in fondo avesse un gran sistema sociale, ottime scuole e disoccupazione zero».
Nel suo caso, raccontato dal settimanale tedesco Der Spiegel, c’è ben poco da rimpiangere. «Pensai di essere in un film nazista», ha detto allo Spiegel l’ex-inquilino della celebre prigione di Hohenschönhausen, nella zona est di Berlino. Mario Röllig, che ancora oggi lotta per superare il trauma mentre i suoi carcerieri godono di una pensione pacifica, rimase incarcerato per soli tre mesi nel 1987. Pochi, ma sufficienti a maturare un disordine mentale post-trauma che a quarantuno anni rischia di tramutarsi in una perdita della memoria. Röllig oggi non può lavorare, ed è stato sottoposto più volte a terapia psichiatriche in numerose cliniche del Paese in questi dieci anni.
La sua testimonianza dimostra che, a venti anni dalla caduta del Muro di Berlino, gli ex-prigionieri politici, anche in risposta alla contraddittoria “Ostalgie”, iniziano a invocare un riconoscimento anche storico della loro sofferenza.
Alessandro Marchetti
(Scuola Superiore di Giornalismo Luiss)