GIUSTIZIA: LA SINISTRA E IL TEMPO PERDUTO

Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Sergio Romano sulla giustizia e la politica in Italia intitolato ''Gli arbitri della politica''. Lo riportiamo di seguito:

''L’Italia non è il solo Paese in cui la classe politica debba rendere conto alla giustizia delle sue azioni. In Francia un ex presidente della Repubblica e un ex Primo ministro (Jacques Chirac e Dominique de Villepin) sono soggetti a indagini giudiziarie. Negli Stati Uniti il governatore dell’Illinois è accusato di mercimonio politico (avrebbe cercato di vendere un seggio senatoriale al migliore offerente). In Gran Bretagna la polizia ha arrestato un deputato conservatore, membro del governo ombra, sospettato di avere coltivato una talpa negli uffici di un ministero per diffondere alla stampa notizie riservate. E tralascio il caso dei fondi segreti di Helmut Kohl, i traffici africani dei figli di François Mitterrand e Margaret Thatcher, i discussi finanziamenti raccolti da Bill Clinton per la sua fondazione, lo scandalo di Ted Stevens, senatore repubblicano dell’Alaska, estromesso dal Congresso per le sue spregiudicate relazioni con i lobbisti del suo Stato. La corruzione, purtroppo, è la tentazione ricorrente di tutte le democrazie e, a giudicare da certi dati, il morbo endemico di sistemi autoritari o semi- autoritari come quelli della Cina e della Russia. Là dove un uomo politico o un amministratore può decidere, con un timbro o una firma, il valore di un terreno, l’aggiudicazione di un appalto, l’elargizione di un sussidio o i corsi di Borsa di un pacchetto azionario, la carne è debole.

In Italia, tuttavia, il fenomeno presenta almeno tre caratteristiche che lo rendono più minaccioso e inquietante. In primo luogo è presente in molte amministrazioni locali, ma ha dimensioni quasi balcaniche soprattutto là dove il mercato dei voti dipende in parte dal braccio visibile della criminalità organizzata.

In secondo luogo il suo maggiore avversario, la magistratura, contribuisce ad aggravarne la percezione. Grazie all’intraprendenza dei procuratori, le azioni giudiziarie sono frequenti e clamorose, ma il tempo delle indagini, la durata dei processi e il numero delle assoluzioni o prescrizioni rendono la pena incerta e sottopongono la pubblica opinione a una sorta di doccia scozzese. Quando apprendono le prime notizie di uno scandalo, gli italiani si rafforzano nella convinzione che i politici siano «tutti ladri». Quando leggono, dopo una lunghissima attesa, che il numero delle assoluzioni supera di molto quello delle condanne, ne deducono che la politica, ancora una volta, è riuscita a farla franca.

Esiste infine una terza caratteristica, per certi aspetti ancora più grave. I politici sono tutti potenzialmente sul banco degli accusati, ma non resistono quasi mai alla tentazione di utilizzare polemicamente i guai dei loro avversari come una evidente dimostrazione della loro incurabile immoralità. All’epoca di Tangentopoli, la sinistra avrebbe dovuto comprendere che il sistema giudiziario stava uscendo dai confini delle proprie tradizionali competenze per diventare l’arbitro della politica nazionale. Ma ha preferito credere nella propria superiorità morale e, forse, nelle simpatie ideologiche di molti procuratori. Non ha capito che il morbo della corruzione può infettare la sinistra come la destra. Non ha capito che i procuratori, indipendentemente dalle loro preferenze politiche, si sarebbero innamorati del loro ruolo e del loro status sociale.

Anziché ammettere che certe misure, come la divisione delle carriere e qualche correzione all’obbligatorietà dell’azione penale, avrebbero contribuito ad azioni giudiziarie più puntuali e a un migliore clima politico e istituzionale, ha preferito arroccarsi su posizioni conservatrici e continuare a proclamare la propria moralità.

Questa non è certamente la sola ragione per cui il Paese, quindici anni dopo Mani pulite, non ha ancora una giustizia conforme alle proprie esigenze. Anche la destra, con le sue leggi ad personam, scritte per i bisogni di Silvio Berlusconi, ha molte responsabilità. Ma se la sinistra avesse detto pubblicamente ciò che molti suoi esponenti pensavano e che Luciano Violante ha più volte ripetuto negli ultimi tempi, si sarebbe risparmiata le umiliazioni di queste settimane e non dovrebbe piangere sul tempo perduto''.

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