Fra cause civili e procedure fallimentari non c’è differenza: le imprese italiane devono fare i conti con una lunghezza dei procedimenti che non ha eguali in Europa. E giustizia in tempi lunghi è sinonimo di costi troppo elevati, una sorta di tassa mascherata che, per le aziende soprattutto ma anche per i singoli cittadini, pesa molto in tempi di crisi economica.
L’Ufficio studi della Confartigianato ha osservato l’andamento dei processi nella aule di tribunale italiane e ha calcolato che il costo complessivo del ritardo della giustizia per le imprese si aggira sui due miliardi e duecento milioni di euro, cifra divisa equamente fra le cause civili e le procedure concorsuali. Circa 371 euro per azienda all’anno, dunque. D’altronde, la durata media dei processi pendenti è un dato esemplificativo: un giudizio civile dura più di quattro anni e mezzo, una dichiarazione di fallimento arriva dopo più di otto anni dall’inizio della procedura.
In più, va considerato che i difetti della giustizia italiana non sono neanche “equamente distribuiti” nel territorio. Passando da un distretto di Corte d’Appello all’altro, o da circondario a circondario, emergono forti differenze fra Nord e Sud o anche fra le varie Regioni. E così succede che lo stesso processo dura sette anni in Liguria e la metà del tempo in Trentino. Capita anche di dover aspettare appena sei mesi per una sentenza di primo grado a Vercelli, mentre ad Enna, per lo stesso procedimento, potrebbero passare quasi sette anni. I dati negativi sono aggravati dal fatto che negli ultimi due anni giudiziari la durata dei processi si è ulteriormente rallentata, aumentando in media di 54 giorni. Più drammatico il dato sui fallimenti, con un prolungamento delle procedure d’insolvenza di due anni nell’ultimo decennio.
Anche i cittadini, però, non sono da meno: basti pensare che in Italia ci sono 6277 cause civili ogni centomila abitanti, quando in Francia e in Spagna se ne contano meno di duemila. Insomma, giustizia lentissima ma anche popolazione particolarmente litigiosa.