La Stampa pubblica un commento di Federico Geremicca sulle ambizioni al Quirinale di Berlusconi intitolato ”Silvio, metamorfosi per il Colle”. Lo riportiamo di seguito:
”Davanti a un bel filetto di carne argentina, in una steak house a due passi da Palazzo Madama, Nicola Latorre – senatore e plenipotenziario dalemiano – accetta di dire la sua sulla tanto discussa metamorfosi berlusconiana: «Dovessi fare un titolo per un commento al discorso del Cavaliere, direi così: è cominciata la corsa al Quirinale… Lui ha svolto un intervento abile, che punta a diversi risultati e noi dovremo stare attenti a tenere una certa misura nella risposta: ma non ho dubbi che dietro il restyling di Berlusconi ci sia il desiderio di sempre, la sua idea fissa, arrivare alla presidenza della Repubblica. Del resto, dopo aver fatto per tre volte il capo del governo…». Non che si tratti solo di questo, naturalmente, perché la sorprendente mutazione di Berlusconi in «uomo del dialogo» va intanto macinando anche altri obiettivi: mettere in imbarazzo e dividere il Pd, spaccare il fronte delle opposizioni, garantirsi nelle aule parlamentari un clima assai diverso da quello nel quale è stato crocifisso Romano Prodi. Tutto vero, naturalmente: ma secondo alcuni troppo poco per giustificare la radicalità di una metamorfosi che non è detto, per altro, piaccia poi così tanto all’elettorato del centrodestra.
Dalla steak house al Transatlantico di Montecitorio. Su uno dei divanetti solitamente riservati ai deputati del centrosinistra, lo stretto collaboratore di Walter Veltroni riflette: «E’ evidente che Berlusconi punta a costruirsi, come si dice, un profilo presidenziale. Il punto è che noi dobbiamo decidere in fretta, adesso, che cosa fare: perché di mezzo ci sono le riforme. E le riforme, oltre che al Paese, interessano e servono anche a noi». Il collaboratore del leader del Pd parla della faccenda come se ne avesse già discusso molte volte, come se gli sviluppi possibili fossero stati studiati e ristudiati. Spiega, per esempio, che è un errore legare la partita ai tempi della scadenza naturale del mandato di Napolitano (primavera 2013) e, dunque, archiviarla come astratta perché troppo futuribile. «Secondo alcuni – spiega – in un clima di dialogo, potrebbero bastare due, al massimo tre anni per finire il lavoro. Bicameralismo, legge elettorale, riduzione del numero dei parlamentari, poteri del premier e prerogative del capo dello Stato: le proposte non sono così distanti. E se alla fine il pacchetto venisse davvero approvato…».
Se il pacchetto venisse davvero approvato, logica e galateo politico potrebbero prevedere lo scioglimento delle assemblee alle quali viene cambiato sistema e base elettiva e dunque le dimissioni dei vertici istituzionali per i quali si sia deciso un mutamento dei poteri e perfino diverse modalità di elezione. E se a questa regola certo non scritta – e dunque opinabile – si aggiungesse la comune volontà del capo del governo e del leader dell’opposizione di tornare al voto e azzerare tutto in presenza di una nuova impalcatura costituzionale, il percorso sarebbe ovviamente in discesa. Al Pd potrebbe naturalmente interessare il dimezzamento dei tempi di una legislatura che lo vede incatenato all’opposizione; e quanto a Berlusconi, certo lascerebbe Palazzo Chigi (dov’è alla terza esperienza) per tentare l’ascesa al Colle.
Si dovesse esprimere un’opinione sulla base di mezze notizie e sensazioni, diremmo che un percorso del genere pare già soppesato sia a destra che a sinistra in tutti suoi pro e in tutti i suoi contro. E che l’analisi del futuro possibile, piuttosto che raffreddare, abbia rinsaldato il feeling tra il leader del Pd e il capo del governo (che altrimenti ieri difficilmente si sarebbe permesso, dopo avergli espresso gratitudine, di scherzare con Veltroni definendolo nell’aula di Montecitorio «il leader dello schieramento a me avverso»…). «Allora ci vediamo a pranzo questo fine settimana per discutere di riforme», ha infatti poi annunciato il premier, non facendo nulla per nascondere l’improvvisa sintonia. Che ovviamente, oltre a comportare rischi seri per il Pd, non piace a tutti. Ieri, per esempio, col solito stile diretto, Europa – quotidiano vicino a Francesco Rutelli – ha scoperto l’altarino: «Se il Cavaliere pensa di inaugurare così una stagione destinata a chiudersi con l’ascesa al Quirinale, si illude: il suo marchio sulla storia patria rimarrà quello di un innovatore, ma anche dell’uomo della rottura e del rancore… Troppe ferite per ambire a rappresentare una nazione». Già , troppe ferite. Anche se molti medici sono già al lavoro per tentare di rimarginarle…”
