La Stampa pubblica un commento di Carlo Federico Grosso sulle funzioni del Csm intitolato ”La carta e la prassi”. Lo riportiamo di seguito:
”C’ è nuova tempesta attorno alla pretesa del Consiglio Superiore della magistratura di esprimere un parere sulla norma che sospende automaticamente per un anno un gran numero di processi penali, già approvata dal Senato ed in corso di approvazione dalla Camera.
La questione avrebbe costituito oggetto di un colloquio riservato fra i presidenti dei due rami del Parlamento ed il Capo dello Stato. Si è temuto, scrivevano ieri i giornali, un conflitto fra poteri dello Stato, poiché i due presidenti avrebbero avuto intenzione di rispedire al mittente il documento dei magistrati, giudicandolo manifestazione impropria in quanto esorbitante dall’ambito delle specifiche competenze del Csm.
La controversia sulle competenze di quest’ultimo organo è risalente nel tempo. Se ne è discusso moltissime volte. Il problema è già stato al centro, in passato, di polemiche roventi e di iniziative eclatanti. Sul punto vi sono stati addirittura, talvolta, momenti aspri di tensione fra il Consiglio ed il suo Presidente.
Da un lato vi è chi sostiene che il Csm è legittimato a svolgere soltanto le attività espressamente riconosciute dalla Costituzione, a decidere cioè «le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati». Dall’altro vi è chi afferma che al Consiglio, in quanto organo di autogoverno della magistratura, competono funzioni più ampie, di tipo sostanzialmente politico. Esprimere pareri al governo sulle iniziative legislative concernenti la giustizia, ergersi a difesa di singoli magistrati o della magistratura nel suo insieme quando sono sotto attacco, ragionare sul funzionamento della giustizia e fare proposte organizzative o legislative per il suo miglior funzionamento.
La lettera della Costituzione sembrerebbe orientare nella prima direzione. La ragion d’essere dell’istituzione del Csm come espressione, non solo simbolica, dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ha portato a riconoscere invece, progressivamente, all’organo di autogoverno dei magistrati poteri più ampi di quelli amministrativi e disciplinari. Una prassi pluriennale di azioni e comportamenti ha radicato, nei fatti, questa interpretazione estensiva. Oggi, si può dire, essa costituisce espressione di diritto vivente difficilmente contestabile.
In questa prospettiva la lettera inviata ieri al Csm dal presidente Napolitano costituisce autorevolissimo avallo di quanto appare giuridicamente indiscutibile. «Non può costituire sorpresa o scandalo – scrive infatti in modo ineccepibile il Capo dello Stato – la circostanza che il Csm formuli un parere diretto al ministro della Giustizia su di un progetto di legge di notevole incidenza su materie di interesse del Csm stesso»; si tratta, infatti, di «una facoltà attribuitagli espressamente dalla legge», il cui esercizio «è consolidato da una costante prassi interpretativa» e sicuramente «non interferisce con le funzioni proprie ed esclusive del Parlamento». Tanto più, si può soggiungere, che il parere espresso non ha natura vincolante per nessuno, meno che mai per il Parlamento.
Davvero, peraltro, il Csm non è legittimato a dare pareri che non gli siano stati esplicitamente richiesti dal guardasigilli e non è autorizzato ad esprimersi sulla legittimità costituzionale di una legge, poiché, così facendo, usurperebbe funzioni che sono proprie di altro organo di garanzia? Il Capo dello Stato, nella sua lettera, ha affermato, con l’autorevolezza dell’alta carica rivestita, che il Csm non potrebbe farlo perché il sindacato di legittimità competerebbe appunto, in via esclusiva, alla Corte Costituzionale.
L’illegittimità costituzionale della norma che sospende automaticamente i processi penali è stata denunciata, nei giorni scorsi, da alcuni fra i più importanti giuristi italiani. Ricordo, per tutti, l’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida. Perché, allora, ciò che costituisce principio enunciato da singoli giuristi non può essere rilevato, allo stesso modo, da un consesso di esperti riuniti nell’istituzione deputata ad esprimere ufficialmente pareri non vincolanti sui disegni di legge concernenti i temi della giustizia? Perché, ha ragionato il Capo dello Stato, un’istituzione pubblica non ha titolo per sovrapporre la sua valutazione a quella che una diversa articolazione dello Stato è specificamente delegata a compiere.
L’opinione così autorevolmente espressa merita ovviamente la massima attenzione. Probabilmente essa non mancherà , tuttavia, di suscitare fra i giuristi qualche discussione.
C’è peraltro un ulteriore profilo che induce a riflettere. Poiché, come ho detto, i pareri del Csm, meramente consultivi, non vincolano nessuno, quando ero vicepresidente di tale organo mi sono più volte domandato se il lavoro speso nella loro stesura avesse una qualche utilità , perché, pensavo, difficilmente essi sarebbero stati condivisi e seguiti dagli organi chiamati a decidere. Perché allora, nei giorni scorsi, tanta acrimonia, tanta polemica, da parte dell’attuale maggioranza politica nel denunciare l’asserito straripamento di poteri? Il dubbio è che, enfatizzando un problema inesistente, si sia inteso, in realtà , porre le premesse per un ridimensionamento della stessa istituzione. In questa prospettiva l’intervento del Capo dello Stato, al di là della sua portata giuridica, avrebbe, principalmente, un forte significato politico. Sarebbe il tentativo di salvare, comunque, il salvabile”.
