La Stampa pubblica un commento di Federico Geremicca sulle reazioni al gestaccio di Umberto Bossi verso l’inno di Mameli intitolato ”Nascosti dietro un dito”. Lo riportiamo di seguito:
”Magari non è politicamente corretto. E certamente non aiuta «ad avvicinare i cittadini alle loro istituzioni», come si invoca da un po’ di tempo in qua. Però, per onestà, va detto: della questione in sé, della Grande Polemica – cioè del dito alzato di Umberto Bossi e di quel che è stato pomposamente definito «insulto alla Patria e alla bandiera» – del merito della faccenda, insomma, ieri nelle aule di Camera e Senato non fregava niente quasi a nessuno.
Acominciare da Bossi, naturalmente, che a pomeriggio inoltrato, in violazione di tutti i divieti, se ne stava su un divanetto del Transatlantico a mangiare pane e formaggio (o prosciutto, secondo altri) facendo briciole dappertutto. Il presidente Fini aveva appena finito di fargli una mezza ramanzina in aula – spiegando che insomma un ministro non può dire quelle cose e fare quei gestacci – e qualcuno magari s’aspettava la reazione furiosa del senatùr. Macchè. Lui si limita a borbottare: «Ma va là… Poteva non intervenire, che era meglio». E giù un altro morso al pane col formaggio…
Se bisogna raccontare le cose per quel che sono e per come stanno, allora bisogna dire – pur rischiando quel che in questi casi si è rapidi a chiamare qualunquismo – che l’ennesima fanfaronata del leader leghista (che in tante occasioni, compresa questa, davvero non sa nemmeno bene di cosa parla) è stata cinicamente utilizzata, sia da destra che da sinistra, per rimpallarsi accuse più o meno così: voi del Pdl siete alleati di Bossi, che offende la Patria e la Bandiera; e voi del Pd vi ci vorreste alleare, e anzi anni fa già lo faceste, nonostante le offese alla Patria e alla Bandiera. Poche le varianti. Del tipo: perchè Berlusconi non viene in aula a dirci che pensa dell’Inno di Mameli? E in risposta: e voi perchè non state zitti, che siete amici di quelli di piazza Navona, che in quanto a offese non sono stati secondi a nessuno? Tentativi di metter zizzania nel campo avversario, insomma. Di creare o accentuare divisioni. Con interesse scarso o nullo – diciamo la verità – verso l’onore della Patria e della Bandiera.
E che l’interesse verso l’Inno di Mameli e tutto il resto sia stato scarso o nullo, in fondo è perfino un bene. Perchè quello di Alessandra Mussolini, per dire, si è concretizzato in un registratore acceso in aula davanti a un microfono, così da diffondere le note della nostra marcetta in tutto l’emiciclo. E quanto ai leghisti, meglio lasciar stare. Infatti, nonostante gli avessero spiegato in tutti i modi che il contestato «schiava di Roma» non si riferiva alla Padania ma alla “Vittoria”, Federico Bricolo, capogruppo del Carroccio al Senato (e dunque si presume il migliore dei suoi) ha tuonato in aula che «noi della Lega non vogliamo essere schiavi di nessuno!». E quando a Bossi hanno riferito della mezza ramanzina di Fini, ha replicato che «nell’Inno c’è anche scritto che i bimbi d’Italia si chiaman balilla…»: magari volendo rinfacciare al presidente i suoi trascorsi e forse nemmeno sospettando che l’inno è stato scritto una settantina d’anni prima dell’avvento del fascismo e che il verso di Goffredo Mameli è dedicato a Giovan Battista Perasso, patriota genovese del ‘700, detto appunto Balilla.
Insomma, in un Parlamento che tutto tritura e trasforma in tattica politica, anche l’Inno di Mameli e il dito di Bossi diventano carbone e benzina per alimentare propaganda e attacchi all’avversario. O per riavviare, nel Pd e nel centrosinistra, il solito, infinito, regolamento di conti. Prendete Arturo Parisi, che ce l’ha con quelli che nel suo partito vogliono dialogare con la Lega e non gli pare vero poter tuonare: «Io chiedo: come è possibile trattare con chi oltraggia l’unità della Repubblica e rinnova le sue minacce separatiste?». Ma se è per questo, non è certo da meno Paolo Bonaiuti, che ai cronisti che chiedono come mai Berlusconi non sia in aula a difendere (oppure anche no) Umberto Bossi, risponde in maniera surreale: «Berlusconi? L’ho sentito. E’ a casa, ad Arcore. Sta lavorando sulla questione Alitalia…».
Non fa piacere raccontare pomeriggi così. E ancor più malinconico è il tentativo di trarne una morale. Il clima, infatti, è quel che è, essendo fulmineamente slittato dal dialogo all’insulto. Del resto, dopo l’improvvisa virata del presidente del Consiglio, non era pensabile uno scenario diverso. Ieri, per dire, la Camera è stata chiamata a votare una nuova fiducia su un nuovo decreto (quello economico, stavolta) mentre il Senato doveva approvare – avendo a disposizione un solo giorno per esaminarlo – il lodo Alfano, che mette Berlusconi al riparo dal processo Mills, in cui è imputato per corruzione. E in tutto questo, c’è chi continua a parlare di grandi riforme e di legislatura costituente. Al punto in cui già si è (le Camere sono insediate da nemmeno 100 giorni) per crederci occorre un grande ottimismo. Si vedrà. Archiviato Bossi, il dito e le offese all’Inno, sperare nel meglio, in fondo, non costa niente”.
