Il drammatico racconto del reporter del New York Times Stephen Farrell sulla sua liberazione in Afghanistan

Stephen Farrell, il reporter del New York Times liberato da un raid delle forze Isaf  in Afghanistan, ha raccontato le drammatiche fasi dell’operazione che è costata la vita al suo interprete Sultan Munadi e a un soldato britannico.

stephen farrell e l'interprete Munadi

Farrell era stato rapito dai talebani sabato nel villaggio a sud di Kunduz dove si era recato con Munadi per verificare le conseguenze del bombardamento Nato sulle autocisterne rubate dai ribelli e che ha causato 90 morti.

Alle 7 e 30 di martedì sera (l’una e mezza di notte in Italia) Farrell ha comunicato al New York Times: «Sono fuori, sono libero». È stato prelevato da un commando formato da numerosi uomini che ha ingaggiato un violento conflitto a fuoco con i rapitori.

Farrell, 46 anni, cittadino irlandese con passaporto britannico, era corrispondente dal 2007 per il New York Times, prima da Baghdad e poi dal fronte afghano. In un’altra telefonata ad un collega a Kabul ha fornito il resoconto dettagliato a partire dal momento in cui lui e i rapitori hanno sentito il rombo degli elicotteri che si avvicinavano.

«Stavamo tutti nella stessa stanza, abbiamo capito subito che fosse un raid, temevamo ci avrebbero ucciso tutti e pensavamo a fuggire da lì». A quel punto Farrell ricorda che insieme a Munadi sono corsi fuori: proiettili volavano dappertutto, riconosceva voci britanniche e afghane. Alla fine di un muro i due cambiano idea e tornano indietro gridando «giornalisti, giornalisti» ma Munadi rimane colpito mentre Farrell si tuffa dentro a un fosso senza capire se il compagno sia stato colpito dagli afghani o da fuoco amico.

Un paio di minuti dopo Farrell riferisce di aver riconosciuto meglio l’accento inglese dei soldati britannici e di aver gridato per farsi riconoscere. Uscito fuori ha visto il corpo di Munadi, privo di vita: lui era rimasto illeso. Né Farrell né il New York Times erano al corrente dell’operazione, coperta da un assoluto riserbo a livello mediatico per la sicurezza degli ostaggi.

Intanto l’autista afghano di Farrell che riuscì a non farsi catturare dai Talebani, ha raccontato in dettaglio le modalità del rapimento avvenuto sabato a Kunduz. Giunti la mattina di sabato egli stesso, Farrell e l’interprete sul luogo del bombardamento, nel villaggio che ospita i resti fumanti delle cisterne abbattute, iniziano a fare delle interviste. Una folla si raduna velocemente intorno a loro: un amico li aveva avvertiti il giorno prima dell’ostilità della popolazione locale per il tributo di sangue versato. Qualcuno spara dei colpi di kalashnikov in aria e intima ai giornalisti di andarsene. A un certo punto delle grida annunciano l’arrivo di 10 talibani armati: è il pandemonio. L’autista riesce a fuggire attraverso l’erba alta e i campi di riso insieme ai due ragazzini che avevano lanciato l’allarme.

L’autista corre senza fermarsi per venti minuti; viene raggiunto da una telefonata di Munadi che gli dice che se torna saranno lasciati tutti liberi. Non gli crede e prosegue la sua fuga, ma a minacciarlo adesso è uno dei ragazzini. Vuole i soldi e il suo cellulare altrimenti lo consegna ai talibani. Cede e continua a correre fino a raggiungere il posto di polizia dove informerà le autorità dell’avvenuto rapimento.

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Warsamé Dini Casali