Il fosco Afghanistan e “Il tabù della guerra”. Lucio Caracciolo su Repubblica

Dura da ammetterlo per gli italiani, ma forse c’è bisogno che i nostri soldati in un giorno di pioggia sparino per sbaglio e uccidano una tredicenne per far capire all’opinione pubblica che siamo in guerra in Afghanistan. Una guerra con i talebani. Decisiva per la Nato, per gli americani, per gli equilibri politici e militari nella zona più pericolosa ed esplosiva del mondo.

Il nostro esercito è lì per rispettare un patto con l’alleato americano: la nostra è una missione Nato. Non possiamo attaccare ma solo difenderci. Siamo lì a combattere “la guerra di Piero”, aspettando che il nemico spari per primo. Ma questo è impossibile, nella polveriera afghana. Lo sanno i parenti della ragazzina morta, che erano su quella macchina. Lo sa il convoglio italiano che ha sparato. È ora che lo sappia anche il pubblico a casa.

Blitzquotidiano vi segnala come articolo del giorno “Il tabù della guerra nell’inferno di Kabul” di Lucio Caracciolo su Repubblica

Si spara e si uccide ogni giorno in quasi tutto l’Afghanistan, controllato per oltre due terzi dai ribelli, talebani e non solo. Ma per noi continua a non essere una guerra. Forse nemmeno la tragedia che si è consumata ieri presso Herat, dove nostri militari – in circostanze che vorremmo subito chiarite – hanno ucciso per errore una bambina di tredici anni, basterà a rompere il tabù che ci impedisce di dire a noi stessi cosa stiamo facendo in terra afghana. La guerra, appunto. Una guerra che rischiamo di perdere, insieme agli americani e agli altri alleati. Ma in cui abbiamo già perso la faccia, non avendo il coraggio di chiamare guerra la guerra. E di spiegare perché ne siamo parte, in vista di quali obiettivi. Proviamo a ricordarlo.
L’Italia è in Afghanistan per gli Stati Uniti. Punto. Vogliamo dimostrare al nostro maggiore alleato di essere un partner affidabile in un teatro in cui gli americani si giocano la reputazione di potenza leader nel mondo. In questa campagna si gioca, secondo l’interpretazione corrente nelle cancellerie occidentali, il destino stesso della Nato, che non reggerebbe alla sconfitta. […]

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