di Archangel
Dire che il governo italiano sia concorde sulla decisione di boicottare o non la crerimomia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino sarebbe come dire che dirigendosi a nord si va verso sud. Ascoltate: «La partecipazione delle autorità italiane alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici non è ancora stata decisa, ma al momento non vede favorevole il governo italiano», annuncia Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri. «La partecipazione di una delegazione del governo italiano alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici non è affatto esclusa», precisa subito dopo Franco Frattini, ministro degli Esteri. «Ritengo che le Olimpiadi dovrebbero favorire l’amicizia e l’integrazione tra i popoli, e non dividere», aggiunge Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio. «Ritengo che l’assenza di rappresentanti istituzionali rappresenterebbe un messaggio utile, seppur minimo, al governo di Pechino», controbatte i Giorgia Meloni, ministro per le Politiche Giovanili. Non lo so, ma con l’aria che tira, dopo che la repressione cinese in Tibet con le sue centinaia di morti e’ sparita dalle prime pagine dei giornali e dai titoli di apertura dei Tg, io sul boicottaggio italiano dell’inaugurazione non ci scommetterei un soldo di cacio. Eppure, durante il macello che la Cina ha commesso in Tibet l’intero mondo civile si e’ indignato e le minacce di boicottaggio sono piovute da molte parti. La tragedia tibetana e’ stata un po’ come quella birmana. Tanto scalpore per nulla. Certo, ci sono di mezzo i commerci, e la Cina e’ ormai diventata una potenza economica troppo grande per farla imbizzarrire. Ma non tutti, fortunatamente la pensano cosi’: il primo ministro britannico Gordon Brown non andra’ alla cerimonia inaugurale. Non ci andra’ nemmeno il cancelliere tedesco Angela Merkel, ne’ il presidente ceco Vaclav Havel, ne’ il primo ministro polacco Donald Tusk, ne’ il principe Carlo d’Inghilterra, ne’ il presidente del parlamento europeo Hans-Gert Poettering. Il capo di stato francese Nicolas Sarkozy ha detto che non andra’ se il regime cinese non aprira’il dialogo col Dalai Lama, cosa che non e’ successa, e quindi se non vorra’ rimangiarsi la parola data dovrebbe non andare. Il presidente degli Stati Uniti George Bush tentenna: ha detto che andra’ ma potrebbe ripensarci, specialmente dopo che il candidato presidenziale democratico Barak Obama e la sua ex-rivale Hillary Clinton, oltreche’ il candidato repubblicano John McCain, gli hanno detto di vergognarsi. Il problema e’ che la repressione cinese in Tibet ed i filmati dei soldati che picchiavano a sangue monaci buddhisti e gente comune per le strade di Rangoon e’ cominciata lo scorso marzo e i dirigenti di pechino hanno fatto in fretta a soffocare la rivolta. Tanto che ormai non se ne parla piu’. Nel mondo dei media quattro mesi sono un periodo lunghissimo, come anche nella memoria della gente, tranne, sfortunatamente per loro, che dei i birmani. Se Bush decidesse di non andare, gli imitatori seguirebbero numerosi, tutti rannicchiati sotto le ali protettive dell’Imperatore. Ma allo stato dei fatti sembra alquanto improbabile. Cosi’ e assai verosimile che la cerimonia inaugurale delle ”Olimpiadi insanguinate”, come le ha chiamate l’attrice americana Mia Farrow, procedera’ alla presenza della stragrande maggioranza dei leader mondiali, riempiendo d’orgoglio il dragone cinese. Certo, se Berlusconi dovesse andare, potrebbe trovare il suo grande amico Bush, ma non il premier britannico, il cancelliere tedesco e il capo di stato francese. E’ possibile che, da buon europeo, si sentira’ un po’ solo.
