Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Alberto Ronchey intitolato ”L’Italia e la sfida del nucleare”. Lo riportiamo di seguito:
”A causa degli ultimi rialzi nei prezzi del petrolio, si calcola che in Italia 300 milioni di euro in più siano andati a gravare sull’agricoltura, oltre agli aggravi crescenti per l’industria e per i trasporti aerei, ferroviari, su strada, dunque per tutte le merci. Si deve anche aggiungere che l’importazione di petrolio e gas rende l’economia italiana dipendente da fornitori come la Russia, l’Iran, l’Algeria e la Libia, con qualche incognita. Numerose nazioni hanno subito danni rilevanti da questa crisi energetica, ma il caso italiano è diverso. A parziale difesa da ogni oil shock, operano in Europa 141 centrali elettronucleari, malgrado rischi e incidenti come in Francia quello di Tricastin. Risultano attive nel mondo 439 centrali e se ne costruiscono ancora 36, malgrado la controversa questione delle scorie. In Italia, dopo il ripudio del nucleare nel 1987, dobbiamo anche importare a costi elevati energia elettrica da centrali prossime ai nostri confini, localizzate in Francia, Svizzera, Slovenia. Le società industriali, come ha confermato il G8 di Hokkaido, tendono a un sistema energetico misto, che tra le alternative parziali agli idrocarburi comprende con il nucleare fonti rinnovabili come il solare fotovoltaico, l’eolico, i biocarburanti. Per esempio, il Texas già soddisfa con l’eolico un terzo della domanda energetica.
La Germania ricava dal solare il 16 per cento del suo consumo di elettricità . Ma tuttora, in Italia, ritardano anche le sperimentazioni su quelle fonti. Si può supporre, per i prossimi tempi, che vengano moderate le quotazioni petrolifere? In larga misura, il divario tra domanda e offerta che muove i prezzi al rialzo è dovuto ai crescenti consumi della Cina, dell’India e d’altre nazioni superpopolate in via di sviluppo industriale. Se l’espansione dell’economia in quelle nazioni continuerà , la domanda crescente potrà dilatare il divario, con l’ulteriore ascesa dei prezzi e le speculazioni che sul mercato dei futures scommettono al rialzo. Beninteso, tutto è opinabile su materie tanto complesse. In Germania, Die Zeit ha pubblicato affiancate due opposte argomentazioni. Ora in Italia, dinanzi al progetto di tornare all’elettronucleare, le contestazioni avanzano motivi di portata considerevole oppure discutibili. Spesso concludono che l’intento, in ogni caso, è realizzabile solo a tempo troppo differito. Dunque, «ormai è tardi». No per sempre al nucleare in Italia? Eppure, come segnalano autorevoli analisti attenti anche alle ragioni dell’ambientalismo, il nucleare non contribuisce all’inquinamento da «effetto serra » e anzi lo riduce. Il direttore dell’agenzia russa Rosatom, Sergej Kirjenko, calcola che in Europa la produzione dei reattori ha evitato l’emissione annuale d’anidride carbonica per 700 milioni di tonnellate, in Giappone per 270 milioni. Dati affidabili o forse no. Intanto, anche se il ritorno italiano all’atomo è tardivo per fronteggiare in parte l’attuale crisi energetica, dovremmo con il nucleare o il «verde » farci carico almeno di problemi e sorti della posterità . Sempreché non si voglia ricorrere al cinico paradosso: «I posteri? E cosa mai hanno fatto i posteri per noi?»”.
