Il Papa in Terra santa: “Mai dimenticare la Shoah. Pace giusta tra israeliani e palestinesi”

Ricordare le vittime della Shoah, combattere «l’antisemitismo ripugnante» e rilanciare il processo di pace con i palestinesi. Questi i punti che Benedetto XVI ha voluto sottolineare con forza inaugurando la sua visita in Israele, nel quarto giorno del tour in Terra santa. Accolto con gli onori riconosciuti a un capo di stato, il pontefice ha speso parole di speranza invitando le autorità israeliane a cercare una “soluzione giusta” per chiudere il conflitto con i palestinesi.

Mai dimenticare la Shoah. «Sono giunto qui – ha detto Ratzinger – per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah; essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari. Non bisogna dimenticare e non dobbiamo permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità».

«Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini – ha detto il papa – per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà supplico quanti sono investiti di responsabilità a esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri e internazionalmente riconosciuti».

Il messaggio è chiaro: due popoli, due stati. E mai come in questo periodo è utile sollecitare Israele alla trattativa e alla diplomazia.

Le ultime elezioni, che hanno portato al governo un’ampia e variegata coalizione guidata da Benjamin Netanyahu, hanno decretato, in politica estera, lo spostamento dell’asse politico israeliano su posizioni intransigenti. La nomina a ministro degli Esteri di Avigdor Lieberman, considerato un “falco”, ha temporaneamente interrotto la delicata trama diplomatica “aperturista”, nei confronti della questione palestinese, intessuta dall’ex ministro e leader di Kadima Tzipi Livni.

Il Vaticano non ignora la complessa realtà politica e la frammentata dimensione religiosa in Terra santa. E i discorsi tenuti dal papa, ad Amman prima e a Tel Aviv poi, rivelano una precisa impostazione diplomatica. Se in Giordania ha chiesto agli arabi di mettere da parte intransigenza e fondamentalismo, ricordando che la pace può essere raggiunta «solo se si assumono posizioni realmente ragionevoli», in Israele il pontefice ha capovolto prospettiva.

Non ha invocato solo  dialogo e ragionevolezza. Chiedendo a Peres e a Netnyahu di raggiungere una “pace giusta”, Benedetto XVI ha rivelato, tra le righe, che le responsabilità per una soluzione pacifica e condivisa in Medio Oriente non sono equamente distribuite. In forza della profonda asimmetria politica, economica e militare dei rapporti di forza, tra le parti in causa, Israele può e deve fare di più.

Il governo di Tel Aviv ha in mano le carte per vincere la partita e assicurare un futuro diverso alla sua gente, ma deve volere una vittoria a due. Distribuita su due fronti. Perché quello della convivenza civile non è un obiettivo mutuamente esclusivo. E la pace non è un “gioco-a-somma-zero”, ma un successo da costruire con pazienza. Ricominciando, magari unilateralmente, a lavorare per una nuova intesa che permetta di risollevare il processo di pace dalla palude in cui è sprofondato. 

Le parole di Benedetto XVI, dunque, suonano come un monito: a voi decidere. Il sentiero da battere è quello che porta a «un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità».

D’altronde anche la politica ha punzecchiato Israele chiedendo di riprendere i negoziati. Lo ha fatto senza mezzi termini il capo della diplomazia francese Bernard Kouchner che, alla vigilia della partenza del papa per la Terra santa, ha incontrato il suo omologo Avigdor Lieberman, cui ha chiesto di interrompere ogni attività di colonizzazione nei territori e ogni intervento armato nella Striscia di Gaza.

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