di Andrea
Quando si parla di controllo dei mezzi d'informazione, in Italia si rischia di essere accusati di faciloneria: va ormai di moda liquidare con una risata questo enorme problema della democrazia italiana, come se fosse un residuato bellico di antiberlusconismo della prima ora del quale è inutile occuparsi e che comunque non esiste e non è mai esistito nelle dimensioni che «certa sinistra» vorrebbe suggerire. Invece, le cose sono andate, guarda un po', proprio come certa sinistra aveva previsto: Berlusconi e la sua coalizione hanno progressivamente guadagnato l'egemonia culturale sull'Italia e l'hanno fatto anche grazie all'aiuto fedele, costante e incrollabile di uno stuolo di giornalisti che ne amplificano puntualmente ogni dichiarazione, ne celebrano le comparse pubbliche, ne lodano l'azione di governo e al contempo ne celano le contraddizioni, ne sminuiscono i fallimenti, ne negano gli incidenti di percorso.
Ultimamente ad esempio va di moda occuparsi solo dei «problemi del Pd»: il tema principale di cui deve occuparsi l'Italia è il fatto che l'opposizione sta all'opposizione. I telegiornali aprono con terribili notizie sullo stato comatoso del Pd, sulle lotte interne al Pd, sulle correnti contrapposte del Pd, sulla «nuova tangentopoli» (boom!) nel Pd. Le litigate furibonde all'interno del Pdl, invece, rimangono in un articoletto di giornale che non arriverà mai all'apertura di alcun tg nazionale. Eppure il Pdl è al governo: dovrebbe essere più interessante, per i cittadini, sapere che esistono spaccature interne alla maggioranza sul destino di Malpensa, dissapori forti sul federalismo, polemiche sulle classi separate per immigrati. Magicamente però qualsiasi baruffa all'interno della maggioranza diventa sui tg un innocuo «scambio di vedute», mentre al primo refolo di dialettica interna alla minoranza si titola per una settimana di seguito che «il Pd è a pezzi», «l'opposizione si liquefa», «Veltroni al capolinea», «fallimento totale del Pd».
Lo scopo è ovvio: dare del governo un'immagine monolitica e affidabile e fare dell'opposizione un ritratto sconsolante. Ovviamente però si cercherà di evitare l'annichilimento del Pd: il governo ha assoluta necessità di avere a disposizione un bersaglio di «disfattisti» da colpire, a cui imputare la totale inutilità del proprio operato. Dunque ci vuole un Pd debole ma non inesistente, un Pd del tutto innocuo alle europee e amministrative di giugno ma non così debole da far trovare il governo solo davanti agli italiani. Un Pd attorno al 25% va benissimo: abbastanza piccolo da non fare alcuna paura e abbastanza grande da prendere a sberle all'occorrenza. E la cosa comica, in tutto questo, è che nella tattica mediatica del premier il Pd ci casca in pieno.