Nel 2004, sulla scia del drammatico collasso economico dell’Argentina il settimanale “The Nation” era andato nel paese sudamericano per vedere come in alcune fabbriche i lavoratori si erano autorganizzati rimettendo in moto le aziende che stavano chiudendo: le fabbriche erano state abbandonate sia dai dirigenti sia dai politici.
Ora, a cinque anni di distanza, “The Nation” fa il punto su quello che succede oggi in giro per il mondo. Negli ultimi tempi con la crisi economica, molti lavoratori hanno ricominciato ad occupare le fabbriche per non fermare le macchine: utilizzano questo come leva per convincere la società a tornare al tavolo della trattative.
La situazione spiega il settimanale, è simile per molti paesi a quella dell’Argentina del 2001, per questo, una serie di domande iniziano a circolare tra i lavoratori del Sud America, del Canada, degli Stati Uniti e dell’Europa. Qualcuno si è riorganizzato chiedendosi se esiste un’alternativa alla cassa integrazione: «Perché non possiamo “dare fuoco al capo” e alla banche che ci hanno messo in questa situazione?». Ovviamente quel “dare fuoco” è detto in senso figurativo; tuttavia, se queste sono le premesse la soluzione non può che essere questa: «Mandiamo avanti noi la fabbrica. Chiamiamo questo fenomeno controllo diretto dei lavoratori». Qui di seguito riportiamo, come fa “The Nation”, alcuni esempi in giro per il mondo.
In Argentina, la fabbrica di cioccolato “Arrufat” aveva una cinquantina di anni di storia: è stata bruscamente chiusa alla fine dell’anno scorso. Trenta dipendenti hanno occupato l’impianto e, nonostante l’enorme debito lasciato dalla ex-proprietari, i dipendenti sono stati capaci di produrre cioccolatini utilizzando dei generatori. Con un prestito di meno di $ 5.000, hanno prodotto 17.000 uova di Pasqua realizzando un utile di 75.000 dollari con anche un buon risparmio per il futuro.
In Inghilterra, “Visteon” era un produttore di parti per la Ford. Centinaia di lavoratori hanno avuto un preavviso di licenziamento da sei minuti; i dipendenti hanno così deciso di occupare la fabbrica a oltranza. Nelle prossime settimane, “Visteon” ha avuto dagli azionari dei soldi utili a sbloccare la situazione, ma questi azionisti si rifiutano di metterli sul conto bancario fino a quando gli operai non se ne andranno. Questi ultimi però, si rifiutano di lasciare la fabbrica fino a quando non vedranno il denaro.
In Francia sono stati tanti i lavoratori che hanno bloccato arrabbiati i loro datori di lavoro nelle fabbriche stesse. Un film ha colpito questa primavera l’immaginario in Francia: il titolo era “Louise & Michel”: un gruppo di lavoratrici noleggiano un killer per uccidere il loro capo dopo che questo aveva chiuso la fabbrica senza preavviso. Un funzionario del sindacato francese nel mese di marzo, ha detto: «Chi semina miseria raccogliere furia. La violenza è fatta da coloro che hanno tagliato i posti di lavoro, non da coloro che cercano di difendere il lavoro».
Negli Stati Uniti infine, c’è la famosa storia della “Republic Windows & Doors” di Chicago: 260 lavoratori hanno occupato gli impianti. Gli operai hanno vinto la battaglia dopo aver fatto campagne per boicottare “Bank of America” il più grande creditore della società per cui lavoravano: l’impianto è sotto riapertura grazie ad una nuova proprietà e tutti i lavoratori sono ritornati al loro vecchio salario. Sempre Chicago, che è ormai una tendenza in questo campo. “Hartmarx” è un marchio vecchio 122 anni che produce abiti: ha anche prodotto quello che indossava Barack Obama la notte della sua elezione. “Hartmarx” è in fallimento: il suo più grande creditore è “Wells Fargo”, che ha avuto 25 miliardi di dollari da parte dello Stato per salvarsi. Anche se ci sono state due offerte sul tavolo per acquistare la società per tenerla operativa, “Wells Fargo” vuole liquidarla: 650 lavoratori occupano la fabbrica fino a quando la banca andrà avanti con questa a loro dire ingiusta liquidazione.