IMMIGRAZIONE: L’INEFFICIENZA DELLO STATO

Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Michele Salvati sul problema dell’immigrazione intitolato ”Lo stato assente”. Lo riportiamo di seguito:

”Sotto l’onda di indignazione provocata dall’incendio dei campi rom di Napoli si è aperta sui giornali una cateratta di commenti, alimentati anche dalle critiche che ci sono arrivate in sede internazionale. Molta attenzione è stata dedicata a come centrodestra e centrosinistra hanno affrontato e affrontano il problema, alle pulsioni xenofobe della Lega, alle incertezze del Partito Democratico: trattandosi di un problema con risvolti politici evidenti, e di cui si sono viste le ripercussioni nei risultati elettorali di un mese fa, questa attenzione è comprensibile. Attenzione minore ha però ricevuto un aspetto del problema che a me sembra ovvio, e sicuramente molto importante: che il problema rom — le reazioni insofferenti e occasionalmente violente che essi suscitano — sono anche la conseguenza dell’inefficienza dello Stato, dell’incapacità delle pubbliche amministrazioni, delle istituzioni centrali e locali, degli organi rappresentativi, nello svolgere compiti che in altri Paesi vengono svolti con maggiore competenza ed efficacia. Sotto questo aspetto, si tratta di un problema generale, che si manifesta in molti altri campi in cui lo Stato svolge male compiti che dovrebbe svolgere bene: nella scuola, nelle infrastrutture, nel controllo del territorio. Insieme con il Mezzogiorno, si tratta della grande «questione » del nostro Paese.

Detto in altre parole: mi rifiuto di credere che i nostri concittadini siano più intolleranti e xenofobi di quelli di altri Paesi di recente e rapida immigrazione: della Spagna, ad esempio, quella che ci ha criticato, e che ospita una popolazione rom maggiore della nostra. Anche altrove l’insofferenza è diffusa, e comprensibile, specie nei ceti più poveri, quelli che si trovano a maggior contatto con l’ondata migratoria: nel mercato del lavoro, nella scuola, negli ospedali, negli alloggi. E anche altrove ci sono movimenti politici che trovano un facile mercato nel rappresentarla e nell’alimentarla. Ma altrove, da un lato, il sistema politico mette al bando coloro che incitano un confuso e pericoloso «fai da te» da parte dei cittadini e punisce duramente i colpevoli di violenze contro gli immigrati. Dall’altro, ed è l’aspetto che voglio sottolineare, i disagi per i cittadini sono ridotti da uno Stato che funziona, che segue una linea politica meno oscillante e improvvisata, che riesce a controllare meglio gli ingressi, che predispone campi d’accoglienza civili, che reprime con efficacia comportamenti illegali, che assicura rapidamente i delinquenti alla giustizia.

Insomma, la xenofobia non si sviluppa perché i cittadini si sentono protetti. Per raggiungere gli standard di altri paesi europei, una lunga catena di decisioni politiche e soprattutto di pratiche ammini-strative dev’essere programmata e messa in atto rapidamente. Anzitutto la distinzione del problema rom (in larga misura cittadini comunitari) da quello più generale dell’immigrazione clandestina ed extracomunitaria: e qui è coinvolta anche la politica internazionale. Poi un riparto efficace di competenze tra organi periferici dello stato centrale (questure, prefetture, polizie) o organi rappresentativi locali, i comuni soprattutto: lo scaricabarile del not in my backyard —i campi non devono star qui ma altrove — dev’essere risolto. Infine, e soprattutto, una interazione rapida ed efficiente tra polizia e potere giudiziario. La polizia deve intervenire rapidamente, i fermati vanno trattenuti e processati in tempi brevi, se trovati colpevoli devono essere messi in grado di non nuocere: poche notizie suscitano l’indignazione dei cittadini come quella di un colpevole accertato che viene subito lasciato libero.

Qui sono coinvolte riforme legislative, amministrative e finanziarie. Occorrono risorse, certo: come le nozze, una politica dell’accoglienza adeguata non si fa coi fichi secchi. Ma soprattutto occorrono coordinamento ed efficienza. Non credo che sia troppo chiedere al governo una proposta dettagliata, e basata su informazioni serie e studi comparativi, che riguardi l’intera catena il cui mancato funzionamento alimenta l’insofferenza dei cittadini. Non singoli anelli o decisioni ad hoc, ma un disegno complessivo, un piano, che necessariamente deve coinvolgere diversi ministeri, gli organi periferici dello stato e gli enti locali. E non è troppo chiedere all’opposizione di misurarsi nello stesso compito con proposte costruttive.

E poi, naturalmente, c’è il «problema Napoli », una città in cui si bruciano campi rom con la stessa facilità con cui si bruciano immondizie. Napoli è problema «speciale», e oggetto di legislazione e interventi «speciali», da quando il nostro Paese è diventato uno stato unitario. A Napoli si sommano e si potenziano reciprocamente le due grandi «questioni» di State building che il nostro Paese non è riuscito a risolvere nel secolo e mezzo della sua esistenza: la «questione meridionale » e la questione dell’amministrazione pubblica. Sono già all’opera comitati che predispongono i festeggiamenti dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia: temo che questa ricorrenza non annovererà tra successi del nostro Paese la soluzione dei problemi di quella bellissima e disgraziata città”.

Published by
admin