Rupert Murdoch annuncia una decisione epocale e il mondo dell’editoria è in gfermento. Il magnate australiano ha infatti intenzione di far pagare, a partire dal prossimo giugno, l’accesso alle notizie pubblicate sui siti internet dei suoi giornali. Il portale pilota sarà quello del Sunday Times di Londra.
Ma non tutto il mondo dell’editoria è d’accordo con l’assioma di Murdoch, secondo cui «il giornalismo di qualità non è economico», e dunque i lettori sarebbero pronti a sborsare quattrini pur di avere servizi di ottima fattura. L’editore è anche convinto che «tutti i media» seguiranno a ruota la sua iniziativa.
In realtà Murdoch spera anche di invertire il trend del proprio gruppo editoriale, che ultimamente ha fatto registrare perdite per circa 3,4 miliardi di dollari.
Nel mondo della comunicazione il tasso di scetticismo nei confronti della posizione di Murdoch è alto. Viviane Schiller, ex capo del sito del “New York Times” e attuale direttore della radio pubblica Npf, è convinta che l’idea dell’accesso alle notizie a pagamento sarà un fallimento. «Non vedo perchè – spiega la Schiller – la gente dovrebbe pagare per accedere a informazioni che può trovare gratuitamente da altre fonti».
Secondo gli analisti, questo ipotetico «muro di pagamenti» non funzionerà. Sempre secondo la Schiller, l’accesso a pagamento ridurrà l’interesse degli inserzionisti pubblicitari, perchè i lettori non potranno più arrivare sulle pagine dei giornali attraverso i motori di ricerca. Nettamente contraria anche la posizione di Charlie Beckett, direttore di “Polis” e docente alla London School of Economics: «Si può mettere il copyright alle parole ma non agli eventi».
Si professa «entusiasta» del progetto di Murdoch, almeno a parole, David Montgomery, capo assoluto di Mecom, una holding che controlla una serie di giornali nell’ Europa continentale.
Secondo Montgomery, «ogni editore sarà d’accordo con l’editore australiano», anche se le sue parole sembrano più frutto di diplomazia che di convinzione. Infatti, dice Montgomery, l’iniziativa riscuoterà maggior successo nell’ambito della «informazione specializzata e settoriale», ma «i lettori non pagheranno certo per sapere se esplode una bomba in Afghanistan».
