Il contestatissimo nuovo governo del presidente iranaiano Mahmoud Ahmadinejad potrebbe entrare nella storia per un motivo del tutto imprevedibile: nell’esecutivo, infatti, ci saranno tre donne.
Ad annunciarlo, lo stesso presidente alla televisione iraniana. Se la notizia fosse confermata, sarebbe la prima presenza femminile in un governo dalla fondazione della Repubblica islamica dopo la rivoluzione del 1979.
Il nuovo esecutivo, ha dichiarato Ahmadinejad, sarà presentato ufficialmente entro mercoledì. Secondo il presidente, «con le decime elezioni presidenziali siamo entrati in una nuova era, le condizioni sono completamente cambiate». Due delle donne sono già decise: si tratta di ha detto Fatemeh Ajorlou, che sarà nominata ministro degli Affari sociali, mentre Marzieh Vahid Dastjerdi sara’ il nuovo ministro della sanità.
«Almeno un’altra donna sarà aggiunta alla lista», ha «continuato il presidente, e l’età media del nuovo esecutivo si abbasserà».
Ahmadinejad ha poi anticipato che l’attuale consigliere per gli affari religiosi, Heydar Moslehi, sarà il nuovo ministro dell’intelligence, mentre il titolare dell’economia resteràShamseddin Hosseini.
Le nomine rosa, però, non placano le polemiche: il principale oppositore del presidente e candidato sconfitto nel voto del 12 giugno, Mir Hossein Moussavi, ha annunciato che continuerà a contestare il risultato delle elezioni.
Il quotidiano riformista Etemad Melli ha scritto che Moussavi ha denominato il suo movimento «La via verde della speranza», costituito, ha detto, «per difendere le legittime richieste del popolo e favorire il raggiungimento dei suoi diritti».
Un movimento «formato da un gran numero di reti sociali costituitesi in modo autonomo e indipendente».
Proprio oggi è cominciato il processo a 28 persone, tra cui una donna, arrestate nelle proteste del dopo voto presidenziale. Sono accusati di partecipazione a manifestazione illegale, distruzione di beni pubblici e resistenza alla polizia.
Sono finora 110, tra cui una ragazza francese e due funzionari iraniani di ambasciate occidentali, i partecipanti a manifestazioni di protesta non autorizzate messi sotto processo.