Il regime iraniano è passato al contrattacco, liquidando come «illegali e sorprendenti» le critiche piovutegli addosso dall’Occidente per i processi cui sono stati sottoposti finora oltre centodieci dimostranti. Gli oppositori erano stati arrestati nelle settimane scorse in relazione alle proteste di piazza, scatenate dalla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nelle presidenziali del 12 giugno, da più parti denunciate come viziate da sistematici brogli.
Hassan Ghashghavi, portavoce del ministero degli Esteri, ha anzi affermato che le confessioni rese da due connazionali rinviati a giudizio i quali lavorano per le ambasciate di Gran Bretagna e Francia a Teheran, rispettivamente l’analista Hossein Rassam e la segretaria Nazak Afshar, «costituiscono un esempio di ingerenza straniera negli affari interni dell’Iran», come tale per l’appunto del tutto illecita.
«Noi ci opporremo strenuamente a qualsiasi intervento dall’esterno», ha rincarato la dose il portavoce ministeriale. Malgrado il procuratore generale Ghorbanali Dorri Najafabadi abbia ammesso alcuni casi di «torture» inflitte ai detenuti, Ghashghavi ha negato che la deposizione di Rassam, imputato di spionaggio, gli sia stata estorta con la forza. «Prima di comparire in aula, Rassam era già in libertà, a casa propria – ha detto Ghashghavi – Nei suoi confronti non è stata esercitata alcuna pressione».