Iraq/ Il governo del Paese non riesce ad attirare offerte per valorizzare i suoi giacimenti petroliferi e di gas

Il governo iracheno è inciampato ancora una volta, martedì scorso, nel cronico sforzo di conferire un’adeguata valorizzazione dei suoi più importanti giacimenti petroliferi. In un’asta pubblica non è infatti riuscito ad ottenere offerte da parte di una decina di compagnie petrolifere internazionali invitate a partecipare.

«Queste compagnie petrolifere vogliono fare più soldi possibile, così hanno presentato offerte basse» ha detto amareggiato Hussain al-Shahristani, ministro del Petrolio del Paese, durante una conferenza stampa a seguito dell’asta che poi ha aggiunto che l’Iraq non intende svendersi. «Ci sono delle persone in Iraq che hanno intenzione di difendere la ricchezza del Paese» – ha sottolineato il ministro.

Dopo l’evento durato tutto il giorno, e trasmesso in diretta sulla televisione nazionale, il governo ha strappato soltanto un accordo tra sei giganti del settore petrolifero e due nel settore del gas che avevano partecipato all’asta.

Questo contratto ha dato origine a una joint venture tra BP e la China National Petroleum Corporation per gestire la più grande area petrolifera del Paese: si tratta di Rumaila, vicino alla città meridionale di Bassora, che dispone di una riserva di più di 17 miliardi di barili.

L’asta, celebrata dal governo iracheno come una pietra miliare per la nascente democrazia, è avvenuta nello stesso giorno che segnava l’inzio del ritiro delle truppe americane dalle città irachene.

I giacimenti petroliferi dell’Iraq, nazionalizzati sotto Saddam Hussein, erano stati chiusi al mercato straniero nel 1990. L’asta di martedì rappresentava un primo passo per la valorizzazione delle riserve petrolifere del Paese, le più vaste al mondo dopo quelle dell’Arabia Saudita e dell’Iran, che avrebbe potuto consentire un flusso di entrate utile per la ricostruzione dell’Iraq.

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Marco Benedetto