Un pozzo di petrolio aperto in Iraq può fare ancora notizia. Soprattutto se, come è accaduto a inizio giugno a Tawke, nel nord del paese, si tratta del primo pozzo interamente gestito dalla minoranza curda. Un evento trasmesso sui maxischermi di Erbil, capitale dell’area di autogoverno curdo in Iraq.
Si tratta, poi, del primo pozzo aperto dal 2003, anno dell’invasione americana e soprattutto, del primo greggio estratto e lavorato dai privati, dal 1972, anno della nazionalizzazione del petrolio nel paese. I curdi, infatti, hanno raggiunto un accordo per la lavorazione e l’esportazione del greggio con due compagnie: la norvegese Dno International e la anglo canadese Addax Petroleum. Quest’ultima, per il progetto, è legata con la compagnia turca Genel Enerji. Un segnale distensivo, finalmente, nella complessa relazione tra curdi e turchi.
Quello di Tawke, al momento, è un giacimento da 60 mila barili di petrolio al giorno, cui vanno sommati i 40 mila del vicino pozzo di Taq-Taq. Un potenziale produttivo destinato ad aumentare in modo esponenziale: secondo il governatore della regione Ashti Hawrami, infatti, entro il 2012 si potrebbe arrivare ad un milione di barili al giorno pari al 42 per cento dell’attuale produzione irachena.
Secondo l’accordo, ai privati andrà tra il 10 e il 20 per cento dei profitti. Il resto, invece, al governo federale. Una soluzione, ad ogni modo, non gradita a Baghdad che vuole avere l’ultima parola in tutte le transazioni petrolifere. I curdi, però, affermano di agire nei limiti di quanto previsto dalla costituzione federale accusando il governo centrale di avere un sistema petrolifero obsoleto che, nonostante tutti gli investimenti, produce ancora la stessa quantità di petrolio del 2003.
*Scuola superiore Giornalismo Luiss