Roberto Calderoli si pente, Tripoli accetta le sue scuse e il governo dice che «il caso è chiuso». E’ stata un’altra giornata difficile tra Libia e Italia. Solo a tarda sera, dopo «una serie di contatti ad alto livello» tra Roma e Tripoli finalmente la Libia si è dichiarata soddisfatta degli sforzi italiani e del «rammarico» espresso da Calderoli per la sua maglietta anti-islam indossata in diretta televisiva.
È stata così messa la parola fine all’ennesima crisi diplomatica tra i due Paesi. Una crisi seria che ha condizionato il lavoro del nuovo Governo sin dalle primissime ore dopo il giuramento del "Berlusconi IV". La Libia, dopo l’avvertimento lanciato lo scorso due maggio dal figlio di Gheddafi Saif el Islam (se Calderoli sarà ministro le relazioni bilaterali «peggioreranno catastroficamente»), non ha gradito la nomina di Roberto Calderoli e ieri, pochi minuti dopo l’ufficializzazione della carica, ha alzato il tiro: apriremo al flusso di immigrati che dall’Africa sub-sahariana spingono sulla nostra frontiera sud; stringeremo sulla concessione dei visti e, soprattutto, rivedremo alcuni importanti contratti petroliferi con l’Eni.
Un gioco al rialzo serrato che la nostra diplomazia ha letto con realismo, abituata come è da anni alle spericolatezze negoziali di Muammar Gheddafi. Dopo una rapida riflessione se scegliere la linea dura od una dialogante, Palazzo Chigi, Farnesina e Viminale si sono orientati per la seconda strada. «Stiamo lavorando, stiamo lavorando», ha detto il ministro degli Interni già questa mattina confermando che la macchina diplomatica era in moto già da tempo. «Avremo modo di chiarire e tranquillizzare la situazione con le autorità libiche. Sono fiducioso», gli ha fatto eco poco dopo il premier Silvio Berlusconi. Sulla stessa linea il neoministro degli Esteri Franco Frattini, che ha spiegato come tra Italia e Libia non esiste «alcuna emergenza» e che Roma vuole avviare «una cooperazione molto forte» poichè Tripoli pone dei problemi «seri» che vanno affrontati in ambito bilaterale ed europeo.
Unica voce fuori dal coro quella di Umberto Bossi che ha fatto tremare quanti stavano lavorando a gettare acqua sul fuoco: «Sono i libici che ci mandano gli immigrati», ha detto a metà giornata il ministro leghista per le riforme. Una bordata che ha messo a rischio tutta l’operazione di ricucitura per alcune ore. E la conferma della pericolosità delle parole di Umberto Bossi si legge anche nel dettagliato comunicato libico: unico passaggio negativo quello conclusivo dove si sottolinea che Tripoli «respinge con fermezza le dichiarazioni odierne di Bossi perchè infondate e non veritiere». Il vero nodo, hanno spiegato fonti diplomatiche in serata, sono, come sempre, i soldi e in particolare i contratti per le forniture di petrolio. Ma la chiave di volta di questa intensa giornata si è faticosamente costruita attraverso il "mea culpa" di Calderoli.
Un pubblico «rammarico» minuziosamente preparato attraverso mille telefonate e materializzatosi in un irrituale comunicato. Infatti, poco prima Franco Frattini aveva annunciato che ci sarebbe stato un comunicato ufficiale che avrebbe aperto la strada ad un «dialogo concreto» con Tripoli. «Come uomo politico e Ministro della Repubblica nutro il più profondo rispetto per tutte le civiltà e sono convinto che il dialogo con quella islamica sia un tema imprescindibile dei nostri tempi», ha affermato l’esponente leghista nella nota. Ed ha aggiunto: «le relazioni tra Libia e Italia sono improntate al reciproco rispetto. Sono certo che saranno sempre più costruttive e mi adopererò personalmente perchè ciò avvenga». Queste parole erano la base minima per riallacciare il dialogo con Tripoli e sono state pronunciate. Gheddafi si è ritenuto soddisfatto. Ora il Governo Berlusconi IV potrà proseguire la normale, durissima, trattativa con la Libia per chiudere il contenzioso sui danni provocati dal colonialismo italiano.
