La giacca e gli inconfondibili occhiali tondi macchiati di sangue, che portava quel maledetto 8 dicembre 1980 a New York quando venne assassinato da un fan impazzito. Sono questi gli oggetti più scioccanti della mostra “John Lennon: the New York City Years” dedicata agli ultimi nove anni di vita del musicista nella Grande Mela, inaugurata martedì al “Rock and Roll Hall of fame” nel quartiere newyorkese di Soho.
Anche se, racconta commossa l’artista 76enne di origine giapponese, «è stato molto difficile includere quegli oggetti» perché, nonostante siano passati quasi trent’anni, la morte improvvisa del marito ancora la tormenta. «Se fosse stato un processo lento ne avremmo potuto parlare», dice, trattenendo le lacrime.
Ma all’Annex non si racconta solo la morte di Lennon. Le sue foto con la moglie e gli amici, i manoscritti delle sue canzoni più belle, le chitarre e le lettere, la sua green card svelano più che il mito, Lennon come uomo.
Un uomo che amava profondamente New York. «Se fossi vissuto duemila anni fa, avrei scelto di abitare nella Roma imperiale», diceva l’ex componente dei Beatles, «Oggi è New York la Roma del nostro tempo, per questo vivo qui». E Bob Gruen, il fotografo che lo ritrasse dietro allo skyline più famoso del mondo, lo consacra cittadino onorario, affermando: «John non posava come un newyorkese, John era un newyorkese».