La Stampa pubblica un commento di Gian Enrico Rusconi sulla decisione dei giudici di fermare l’alimentazione forzata per Eluana Englaro intitolato ”La dignita”’. Lo riportiamo di seguito:
”Nel caso di Eluana non si sta sopprimendo una vita umana, ma al contrario si sta riconoscendo la sua dignità . Il suo diritto a morire dignitosamente. Naturalmente secondo un criterio che non è quello bioteologico, cioè di chi considera il bios vegetativo come tale segno dell’impronta divina nell’uomo.
La questione tuttavia è molto seria e va affrontata con ragionevolezza e rispetto reciproco delle differenti posizioni. Le convinzioni sulla vita e sulla morte, come quelle sulla famiglia e sul sesso, ci dividono profondamente. Ma se vogliamo vivere insieme in una comunità civile di cittadini, credenti e non credenti, dobbiamo coltivare attenzione reale per le ragioni di tutti. Questo non è «relativismo», ma segno della maturità di una società civile.
Nessuno quindi – a cominciare dai rappresentanti della Chiesa – ha il diritto di usare argomenti infamanti o criminalizzanti contro chi ha preso la decisione di lasciar morire in pace Eluana. Oggi è rimesso in discussione che cosa sia la «vita», anzi la vita umana. La medicina ha alterato profondamente il rapporto tra biologico e meta-biologico. Il confine è diventato labile e incontrollabile. Noi vogliamo riappropriarci di questo territorio tenendo fermi alcuni criteri. Cominciando con l’affermare che è legittimo chiederci se una vita veramente vegetativa, senza alcuna possibilità di recupero, sia degna di essere vissuta.
Porsi questo interrogativo non equivale a sostenere una selvaggia eutanasia, ma a ribadire la pienezza della dignità umana e quindi porre le premesse da cui discendono quesiti essenziali cui rispondere. Primo: chi ha la competenza di stabilire l’irreversibilità della condizione di una vita vegetativa? Secondo: chi ha il diritto di decidere sul destino di chi si trova in questa condizione? Mi pare che nel caso di Eluana entrambi i quesiti abbiano trovato una risposta ragionevole e accettabile. I medici hanno stabilito l’irrecuperabilità della ragazza a una vita degna di essere vissuta. Il padre come persona biologicamente, emotivamente, giuridicamente più vicina ha preso in piena consapevolezza la decisione di sospendere l’alimentazione. Responsabilmente e pubblicamente.
Diciamolo pure brutalmente. Quanti casi analoghi sono decisi quotidianamente in modo cinico, ipocrita, sottobanco – magari (Dio non voglia!) con l’assenso tacito dei clericali «purché non si faccia scandalo»? Ben venga quindi un dibattito pubblico, forte ma leale. Con una premessa essenziale però: nel nostro Paese esiste una magistratura che su questa difficilissima materia sta muovendosi con scrupolo, ponderando tutte le ragioni in campo, tutti i diritti in gioco. Può sbagliare, naturalmente; le sue sentenze possono essere corrette o rettificate. Ma nessuno – con la presunzione di appartenere ad un ordine morale superiore – si azzardi a diffamarla. Magari in nome di una «sana laicità »”.
