Che Gualtiero sia (o sia stato?) il principe degli chef non si discute. Tra l’altro, fu il primo in Italia a fregiarsi della terza stella Michelin. Era il 1986. In contemporanea, arrivarono le onorificenze: il cavalierato della Repubblica e l’Ambrogino d’oro. Nella Milano da bere il suo ristorante — pochi tavoli, in un seminterrato rimesso a nuovo di via Bonvesin de la Riva — diventò il ritrovo dei gourmet e dei manager (in nota spese). In pochi capivano e apprezzavano davvero la sua cucina (concettuale, allora) ma Marchesi era Marchesi: il Bocuse italiano. Anni di vera gloria, insomma. E molti colleghi gli devono molto; dal vivaio del principe uscirono le nuove leve dell’alta cucina: un gruppo di cuochi, oggi affermati, che si contendono stelle, cappelli, forchette, cioè i «voti» delle guide gastronomiche.
E il maestro? Nel 1997 le 3 stelle scendono a 2 — nel frattempo, il suo ristorante si è trasferito all’Albereta — ma lui tira dritto, lanciandosi in nuove avventure. L’ultima, è l’apertura del «Marchesino», caffè-bistrot- ristorante, a ridosso del Teatro alla Scala. Non è casuale. Una delle passioni forti del principe è proprio la musica. Un dettaglio, a margine delle polemiche stellate: la Michelin, quest’anno, verrà presentata alla stampa da «Trussardi alla Scala », cinque metri di separazione dal Marchesino. E, per giunta, lo chef che lo conduce è Andrea Berton, allievo di Gualtiero. Ce n’è abbastanza da far prevedere qualche fuoco d’artificio.
Marchesi preferisce andare al sodo: «Ciò che più m’indigna è che noi italiani siamo ancora così ingenui da affidare i successi dei nostri ristoranti — nonostante i passi da gigante che il settore ha fatto — a una guida francese. Che, lo scorso anno, come se niente fosse, ha riconosciuto il massimo punteggio a soli 5 ristoranti italiani, a fronte di 26 francesi. Se non è scandalo questo, che cos’è?». Aggiunge: «Quando, in giugno, polemizzai con la Michelin lo feci per dare un esempio; per mettere in guardia i giovani, affinché capiscano che la passione per la cucina non può essere subordinata ai voti. So per certo, invece, che molti di loro si sacrificano e lavorano astrattamente per avere un stella. Non è né sano, né giusto».
Marchesi riconosce la lealtà della altre guide (Il Gambero Rosso e L’Espresso) che hanno continuato ad esprimere liberamente i propri giudizi sui ristoranti.
Compreso il suo. «Il Gambero — osserva — ha, tuttavia, ammesso che il punteggio è il mezzo non il fine». Di più: la Guida Veronelli gli ha assegnato un premio speciale, le tre stelle a vita. Come a dire: non un cuoco, un «santino». Eppure la ferita brucia. «Con mancanza di stile — osserva Gualtiero — la Guida Rossa, al reato di lesa maestà, ha risposto con il taglio della testa». «Mi dispiace per i miei collaboratori — conclude — che lavorano in un ristorante inesistente, secondo alcuni. Quanto a me, non mi fermo: sto organizzando per la Triennale una mostra che racconta 60 anni di cucina italiana. I cambiamenti, le novità. Dove, scusate, un posticino ce l’ho anch’io ».