Ideal Standard di Belluno: 250 esuberi. Safilo: 500 posti a rischio. Carraro di Campodarsego: 650 in cassa integrazione. Marzotto di Portogruaro: 250 in contratto di solidarietà. Myair di Vicenza: 250 licenziamenti in arrivo. Merloni di Fabriano e Nocera Umbra: 3000 dipendenti in attesa che qualcuno compri la fabbrica in ammnistrazione controllata. Manuli Rubber di Ascoli Piceno: 375 messi in mobilità. Roccatura di Russotto a Prato sotto sfratto. Radicifil di Pistoia: 140 che non torneranno al lavoro. Delphi di Livorno avviata alla chiusura. Siderurgico di Taranto: 6500 in cassa integrazione. Petrolchimico di Porto Torres: 7000 posti in bilico.
È solo una pagina del gran libro della disoccupazione post estate 2009. Un libro che contiene 20mila posti di lavoro in Piemonte a rischio o di fatto già svaniti nei settori auto, metalmeccanico, tessile e orafo. E seimila posti in Lombardia (tessile). E 1500 in Veneto (chimica, sanitari, occhiali, tessile). E 20mila nelle Marche (elettrodomestici, gomma, cantieri navali). E 70mila nel Lazio (indotto aeronautico soprattutto). E ottomila in Puglia (siderurgia e mobilifici). E 12mila in Campania (navale, tessile, conciario, indotto Fiat). E tremila in Sicilia (indotto Fiat, elettrico e nautica).
Un libro destinato a ingrossare, anche se la crisi fosse davvero finita. Se infatti la crisi fosse davvero finita ieri, le conseguenze negative sull’occupazione continuerebbero ad abbattersi sull’occupazione per altri nove/dodici mesi. Un altro anno di posti di lavoro cancellati. Poi, per ritornare a prima del libro, per tornare ai livelli di occupazione del 2007, ci vorranno due, tre anni. E il conto degli anni che mancano parte dal giorno in cui la crisi davvero finirà.